Con Lenz Iphigenia riscrive la sua storia

Il nuovo spettacolo di Maestri e Pititto è a Parma dall’8 al 13 aprile

02 aprile 2019

Sono tre le principali fonti d’ispirazione del nuovo lavoro Ifigenia in Tauride. Io sono muta di Lenz Fondazione: “Iphigenie auf Tauris” di Goethe del 1787, l’opera di Gluck “Iphigénie en Tauride” del 1779 e la storica azione di Joseph Beuys “Titus-Iphigenie” del 1969. Un’eredità di straordinario spessore con cui confrontarsi, come sempre accade nel teatro filosofico e viscerale insieme di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, che amano scavare nei miti e nella tradizione, come pure nei canoni della modernità, per rintracciarne i segni universali nel presente e farli risuonare in corpi particolari, altamente sensibili. A interpretare il ruolo dell’eroina tragica nel nuovo lavoro sarà infatti Monica Barone, recente interprete del ruolo di Beatrice anche nel Paradiso di Lenz, danzatrice “dotata di una grande sensibilità performativa maturata nel rapporto con la propria specificità fisica – spiegano i registi – che nonostante i numerosi interventi chirurgici al volto cui ha dovuto sottoporsi fin dalla primissima infanzia, coltiva e pratica con disciplina e passione i linguaggi della danza contemporanea e la fotografia”.

Lo spettacolo, che debutta l’8 aprile alle 20.30 al Lenz Teatro di Parma, con repliche fino al 13 aprile, è il secondo capitolo di un dittico scenico musicale sul sacrificio delle innocenti dedicato appunto al mito di Ifigenia, fanciulla, figlia di Agamennone e Clitennestra, destinata al sacrificio da suo padre e salvata dalla dea Artemide che al suo posto invia sull’altare una cerva. L’installazione scenica di Maria Federica Maestri, che firma anche la regia e i costumi, e l’imagoturgia e il testo di Francesco Pititto pongono al centro della scena, sospese tra i rami metallici di piante meccaniche, proprio le corna della cerva immolata e sgozzata al posto della giovane mentre “sul proscenio – anticipano gli autori – “si erge un piccolo altare, un freddo tagliere in acciaio, su cui è posto un lavacro per eseguire i rituali di purificazione: su quell’altare, disobbedendo a leggi che ritiene ingiuste e disumane, Iphigenia non immolerà alcuna vittima, non compirà alcun sacrificio umano, ma con un rito intimo e segreto implorerà gli dei di ritornare libera e di essere felice. Di fronte al loro silenzio, confusa e angosciata, decide di osare un’azione audace e di conquistare una nuova patria-corpo, libera da vincoli sociali e religiosi”. Un gesto politico pregnante, tracciato anche grazie alle notazioni coreografiche di Davide Rocchi, che trae senso e forza proprio dalla risonanza che si produce in relazione alla biografia inscritta nel corpo della danzatrice. Monica, aggiunge infatti Lenz “motivata da una profonda necessità esistenziale, ma in particolare per questa Iphigenia, porta in scena se stessa e la propria vita, compie un rituale contemporaneo che necessita ancora di ‘danza’, oltre la parola, oltre il gesto, per essere libera di riscrivere la propria storia, per “trasformare il mondo”, avrebbe detto Beuys”.

Le repliche dell’Ifigenia in Tauride saranno seguite ogni giorno da
Orestea #1 Nidi, prima parte di un progetto triennale di Lenz dedicato alla tragedia eschilea.

Il 13 aprile, prima dell’ultima replica, all’ Auditorium Casa della Musica Lenz organizza anche un incontro tra artisti-curatori indipendenti condotto da Silvia Mei, per parlare di festival e rassegne dedicati alle visual & performing arts.