Grazie per la squisita prova. Intervista a Nicola Borghesi

Il 3 dicembre al Teatro Comunale di Argelato per la Stagione Agorà

02 dicembre 2022

“Avere piacere di stare con gli altri è un lavoro, la prima volta non è facile”. Sono parole di Nicola Borghesi, che dello stare con gli altri e in mezzo agli altri ha fatto un metodo di lavoro, la chiave fondamentale di un teatro che incrocia i temi del nostro tempo con le storie di persone comuni, portandole sul palco insieme agli stessi protagonisti che le hanno vissute. Attore, drammaturgo e regista, Borghesi è tra i fondatori di Kepler – 452, uno dei gruppi principali della galassia teatrale contemporanea, un punto di riferimento per le giovanissime generazioni di artisti e artiste (anche grazie al fenomenale Festival 20 30 di Bologna, di cui Borghesi è stato ideatore e direttore artistico per diversi anni, prima di passare il testimone al più giovane Enrico Baraldi). Complice una scrittura che nasce nella relazione con l’altro da sé, Borghesi ogni volta porta in scena la storia di un incontro, di un’esperienza vissuta, di un pranzo a casa di due persone sgomberate per far largo a un parco commerciale (come nel Giardino dei Ciliegi) o di un periodo di convivenza con un gruppo di operai che hanno occupato una fabbrica (come nel recente Il capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto). Da un incontro speciale è nato anche Grazie per la squisita prova, spettacolo nel quale per la prima volta il trentacinquenne Borghesi si confronta non con “professionisti della vita”, ma con Enzo Vetrano e Stefano Randisi, due maestri della scena, tra i protagonisti indiscussi della storia teatrale italiana. I tre si conoscono, si parlano, si vanno reciprocamente a vedere in scena. Tra loro scatta una scintilla, fondata sull’amore per il teatro. Le loro vite teatrali sono lontane, diverse, eppure hanno molte cose da dirsi. Sul palco, l’autore si chiede se abbia ancora senso oggi fare teatro, a cosa serva quel ciclico gioco tra finzione e realtà. E sono proprio Vetrano e Randisi ad offrirgli una risposta, quasi una lezione, una rassicurazione. Lo spettacolo sarà in scena il 3 dicembre al Teatro Comunale di Argelato, per la stagione teatrale Agorà.

 

INTERVISTA A NICOLA BORGHESI

 

Ti ricordi quale è stato il primo spettacolo di Vetrano e Randisi che hai visto? E il primo dei Kepler che hanno visto loro? 
Il primo spettacolo che ho visto di Vetrano e Randisi credo sia stato “I giganti della montagna” al teatro Masini di Faenza, mentre il primo dei miei che hanno visto loro credo fosse “Il Giardino dei ciliegi”.

 

Grazie per la squisita prova è una frase con cui Leo De Berardinis si rivolgeva alla sua compagnia. Come mai è diventata il titolo del vostro spettacolo? 
La frase di De Berardinis suona bene, ha un sapore, soprattutto in quell’aggettivo “squisita”, antico. Evoca tutto un mondo di teatri, treni, buffet, camerini, cantinelle, che non c’è più. O meglio sopravvive in luoghi e identità impensate, come quella di Enzo e Stefano.

 

Di solito cominci ascoltando le storie degli altri. Come hai lavorato stavolta? Cosa avete fatto in sala prove? Chi si è raccontato a chi? 
Ho fatto così anche questa volta, intervistando a lungo e approfonditamente Enzo e Stefano, andando a vivere a casa loro per qualche giorno e documentandoci sui loro materiali d’archivio. Se di solito i reportage che faccio hanno a che vedere con situazioni e umanità periferiche, in questo caso ho trattato la coppia artistica Vetrano e Randisi come il possibile oggetto di un reportage, ma anche come i portatori di una parte di conflitto. Da qui nasce il testo. Il lavoro di messa in scena poi è venuto quasi da sé, perché è facile mettere in scena le cose quando le relazioni sono chiare. E durante la stesura della drammaturgia abbiamo avuto il tempo di chiarire questo nostro incontro.

 

Quanto conta la trasmissione tra generazioni? Cosa si può veramente trasmettere a un altro? C’è qualcosa che puoi dire di avere imparato da questi due grandi artisti?
Credo che la trasmissione di saperi all’interno di un rapporto artistico sia particolarmente ineffabile. Difficile dire cosa mi hanno insegnato Enzo e Stefano, anche se sicuramente mi hanno insegnato molto. È difficile misurare in cosa. Non è certamente una tecnica o un’abilità specifica, quanto piuttosto una lente, un tipo di sguardo sul mondo. Uno sguardo sul mondo che non assomiglia al mio e, proprio per questo, è particolarmente arricchente. Io ormai ho trentasei anni, è difficile che mi lasci influenzare nel mio modo di fare le cose. Piuttosto la relazione, con la sua complessità, la sua capillarità, finisce per spostare leggermente lo sguardo. E dunque l’immaginazione e dunque il modo di fare teatro.