- Data di pubblicazione
- 08/11/2023
- Ultima modifica
- 08/11/2023
Accabadora di Michela Murgia è in scena con Anna Della Rosa
L'8 novembre a Castelfranco e l'11 novembre a Vignola
Accabadora, dall’omonimo romanzo (Premio Dessì, Premio SuperMondello e Premio Campiello) della scrittrice e intellettuale recentemente scomparsa Michela Murgia è lo spettacolo che inaugura Stagione 23/24 del Teatro Dadà di Castelfranco Emilia l’8 novembre e del Teatro Fabbri di Vignola l’11 novembre. Protagonista in scena è Anna Della Rosa, una delle più interessanti attrici della scena contemporanea, diretta dalla regista Premio Hystrio 2022 Veronica Cruciani.
Il romanzo di Michela Murgia è ambientato nella Sardegna degli anni Cinquanta, con le sue regole e i suoi divieti, una lingua atavica e taciti patti condivisi. Qui, a Soreni – un paesino immaginario – una bambina di sei anni, Maria, viene data a “fill’e anima” a Bonaria Urrai, una sarta che vive sola e che all’occasione fa l’accabadora. In sardo “accabadora” è “colei che finisce”: dà la buona morte alle persone che la chiedono. Agli occhi della comunità non è il gesto di un’assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi, e tuttavia la vecchia sarta nasconde questo fatto alla figlia adottiva. Maria cresce nell’ammirazione della nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre il suo segreto e fugge. Torna pochi anni dopo perché “Tzia Bonaria” sta morendo. È a questo punto della storia che comincia il testo teatrale, con Maria ormai adulta di fronte alla sua Tzia che non riesce a morire e che frantuma tutte le sue certezze.
La riduzione teatrale del libro è stata scritta da Carlotta Corradi su richiesta della regista decisa di farne un monologo.
Dunque, narrando la storia di Tzia Bonaria e l’arcaica e magica Sardegna di oltre mezzo secolo fa, il romanzo e lo spettacolo interrogano il nostro mondo, si calano nella contemporaneità e nel dibattito sull’eutanasia, esplorano senza retorica e senza luoghi comuni il segreto legame tra vita e morte. Eticamente altrettanto forte e ugualmente attuale è il secondo tema della pièce, ovvero la maternità adottiva, raccontata attraverso la perdita e il ritrovamento, i sentimenti e i dubbi delle due protagoniste.
Il monologo teatrale adotta il punto di vista di Maria, “generata due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell’altra”, che torna dalla madre adottiva piena di emozioni e ricordi tutti da elaborare: un bagaglio pesante per chi, come lei, l’ultima figlia di una madre vedova, è abituata a pensarsi in tutti i sensi come “l’ultima”. “Il dialogo tra Maria e Tzia Bonaria, sua madre, per me – afferma la regista Veronica Cruciani – avviene solo nella testa della protagonista; è un dialogo tra sé e una parte di sé, tra una figlia e il suo genitore interiore”.
E la drammaturga Carlotta Corradi precisa: “I due grandi temi, che oggi si chiamerebbero dell’eutanasia e della maternità di fatto, nel testo teatrale come nel romanzo, creano un ambito di riflessione ma non sono mai centrali quanto l’amore e la crescita; crescita sempre e inevitabilmente legata al rapporto con la propria madre, naturale, adottiva o acquisita che sia”. Così, l’imminente morte della Tzia, il distacco chiesto dalla Tzia stessa, rappresenta anche una metafora della crescita di Maria, che può diventare davvero adulta solo riattraversando il doloroso passato, per poi proiettarsi verso il futuro.
Raccontava Michela Murgia, che ha “accompagnato” l’intera trasformazione del suo libro in spettacolo: “Carlotta Corradi ha fatto un lavoro di tessitura, utilizzando tutte parole mie, ma in un modo in cui io non le ho usate. C’è un’originalità anche autoriale in questo testo. Chiamarlo ‘riduzione’ non va bene: è un ampliamento. Una visione che io non ho assunto perché la mia attenzione era sulla vecchia, non sulla bambina. È un pezzo di Maria che mancava, sono felice che siano state altre donne a vederlo”.