- Data di pubblicazione
- 19/03/2025
- Ultima modifica
- 19/03/2025
Archiviozeta porta in scena “La montagna incantata”: una maratona teatrale per il 150° anniversario di Thomas Mann
Il 22 e 23 marzo all’Arena del Sole di Bologna
A dicembre hanno ricevuto sul palco dell’Arena del Sole il Premio Ubu speciale per il loro percorso che da oltre vent’anni si muove “fra ex-tiri a segno, negli ex-mercati, dentro gli archivi di stato, nelle biblioteche e negli istituti medici, fra le aule magne, nei padiglioni oncologici e in cammino dentro e attorno a monumenti di guerra, come il Cimitero militare germanico al Passo della Futa, forse il loro luogo della memoria prediletto, generatore di una scena che scava nei classici e interroga la recitazione”. Ora la compagnia archiviozeta fondata e diretta da Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni torna su quello stesso palco bolognese per un’avventura teatrale unica: una maratona teatrale che il 22 e 23 marzo riassume tutte e tre le tre parti di un lavoro dedicato alla Montagna incantata di Thomas Mann a cui lavorano dal 2022, e che è stato presentato nelle sue singole parti in vari luoghi. Dopo il Cimitero militare germanico del Passo della Futa e il complesso monumentale di San Michele in Bosco, grazie ad ERT / Teatro Nazionale, lo spettacolo – nel 150° anniversario della nascita e nel 70° della morte di Mann – giunge finalmente ad abitare il palcoscenico, portando con sé la dimensione di eccezionalità che caratterizza tutti i lavori di archiviozeta, noti proprio per la capacità di abitare luoghi della realtà non-deputati al teatro, che ne riscoprono e nutrono il senso profondo, e per uno scavo nei classici antichi e in quelli moderni, da Sofocle a Calvino, da Eschilo a Kraus, passando per Shakespeare, Pasolini, Parise, Primo Levi e molti altri.
L’adattamento del romanzo capolavoro di Mann ruota intorno a domande fondamentali: che cos’è il tempo, che cosa sono la libertà, la reclusione, la malattia, la guerra, la morte? La montagna incantata è infatti uno dei più importanti romanzi tedeschi del ‘900, opera ‘mostro’, come la definisce Mann stesso, capace di avvolgere il lettore in un incantamento narrativo che lo conduce nei meandri della malattia, della conoscenza e del tempo sospeso. Il sanatorio di Davos-Platz, luogo chiuso ed estraniato dal mondo, diventa il simbolo di una generazione che, ignara del proprio destino, sta per essere travolta dalla Prima guerra mondiale. Hans Castorp, il protagonista, giovane ingegnere amburghese, arriva in alta montagna per una breve visita al cugino Joachim. Ma l’aria rarefatta e i ritmi dilatati del sanatorio lo catturano: lentamente si lascia assorbire dall’atmosfera sospesa, iniziando un viaggio di formazione intellettuale e fisica. Il romanzo segue il suo percorso tra scoperte scientifiche e filosofiche, le influenze contrastanti del razionalista umanista Settembrini e del dogmatico Naphta, fino all’esperienza dell’amore con la misteriosa Claudia Chauchat e all’incontro con l’enigmatico Peeperkorn. Quando finalmente il tempo riprende a scorrere, la Storia lo inghiotte: il 1914 lo trascina in guerra, e il suo destino si dissolve nel fragore del conflitto.
“Il nostro lavoro – spiegano i registi e interpreti – propone un ribaltamento dello sguardo: con un senso di tragica ironia abbiamo concepito questo spettacolo come un grande ‘poema della morte’ in una scenografia fatta di infinite lapidi della seconda guerra mondiale e lo spazio del Cimitero Futa Pass, che noi definiamo Teatro di Marte, è diventato Davos-Platz, un grande sanatorio per tubercolotici, destinati per la maggior parte a morire di consunzione. Questa storia visionaria ci rende inquieti e rivela quanto sia sottile il confronto con l’attualità e quanto commovente la partecipazione al dolore per l’umanità sofferente. Ma se per salvarsi è necessario passare attraverso la malattia, la cognizione della morte e la guerra allora questo poema degli inferi e della morte è in sostanza anche un’iniziazione, un inno alla vita”. Guidotti e Sangiovanni hanno cominciato a lavorare a questa messa in scena durante la pandemia, in una situazione di emergenza straordinaria e nel corso dei quattro anni di lavoro si sono trovati di fronte a due guerre terribili nel cuore dell’Europa e del Mediterraneo. “Così – dicono – abbiamo posto a noi stessi e al pubblico, a cento anni dalla pubblicazione del romanzo (1924), le domande di Mann: che cos’è la malattia? come si vive in un mondo malato e in guerra? Queste domande attualissime e vertiginose di Mann stanno alla base del progetto in un momento tragico della nostra storia”. In scena con loro due (a interpretare una girandola di ruoli) Diana Dardi, Pouria Jashn Tirgan, Giuseppe Losacco, Andrea Maffetti, Giacomo Tamburini, Antonia Guidotti, Francesco Canfailla al violoncello, con la partecipazione in voce di Omar Giorgio Makhloufi. La partitura musicale è come sempre di Patrizio Barontini.