Bhagavadgita al Cisim: torna in scena il Grande Teatro di Lido Adriano

Dal 1° giugno (con repliche il 2,6,7 e 8) nell’ambito del Ravenna Festival

01 giugno 2025

Una voce divina sul campo di battaglia. Un guerriero lacerato dal dubbio. Una comunità che si fa teatro. Dal 1° giugno (con repliche il 2,6,7 e 8), nell’ambito del Ravenna Festival, al Cisim è di scena la nuova edizione del Grande Teatro di Lido Adriano, uno dei più importanti progetti di arte partecipata in Italia. Lo scorso anno con “Panchatantra, o le mirabolanti avventure di Kalila e Dimna” il pubblico era stato accompagnato tra i racconti simbolici della letteratura araba e sanscrita, in uno spettacolo che rileggeva le ambizioni di Dimna e la saggezza di Kalila, tra favole animali e verità umane. Protagonista di quest’anno è invece la Bhagavadgita, straordinario testo spirituale della tradizione induista. Un dialogo senza tempo tra Krishna e Arjuna, in cui si riflette sul conflitto, sul libero arbitrio, sul significato dell’agire e del non agire. Una meditazione poetica e politica sulla responsabilità individuale e collettiva, in un momento storico in cui le guerre e i turbamenti interiori sembrano riflettersi gli uni negli altri.

A dare vita a questo antico poema sarà un Coro di 120 persone, dai quattro agli ottant’anni, unito in scena in una partitura teatrale e musicale che alterna voce corale, monologhi e immagini evocative. Il coro, vero motore narrativo dello spettacolo, si interroga e accompagna lo spettatore in un viaggio spirituale e laico al tempo stesso. La regia di Luigi Dadina trasforma infatti la coralità in movimento poetico, mentre la drammaturgia di Tahar Lamri rende accessibile, profonda e urgente la voce della Bhagavadgita, legandola all’oggi senza mai semplificarla. Le musiche originali composte da Francesco Giampaoli – con il contributo ritmico del percussionista Enrico Bocchini – mescolano suggestioni indiane, timbri elettronici e richiami alla musica ambient, creando un paesaggio sonoro ricco e stratificato. L’allestimento scenico, curato dall’artista Nicola Montalbini e dall’illustratrice Silvia Montanari, costruisce un immaginario sospeso tra Oriente e Occidente, antico e contemporaneo. L’essenzialità degli elementi scenici lascia spazio alla fisicità degli attori e all’energia collettiva, in un continuo dialogo tra parola, corpo e suono. 

 “La Bhagavadgita – spiega il drammaturgo Tahar Lamri – affronta questioni esistenziali eterne come il dovere, l’azione giusta, il rapporto tra individuo e universo: temi che rimangono incredibilmente rilevanti nella nostra epoca di incertezza e rapidi cambiamenti. Il dialogo tra Krishna e Arjuna sul campo di battaglia rappresenta perfettamente il conflitto interiore che molti sperimentano oggi: come agire con saggezza in un mondo complesso? Come conciliare responsabilità personali e collettive?”

Il progetto è frutto di un lavoro andato avanti per quasi otto mesi con laboratori teatrali, musicali, scenografici e costumistici. A tenere le fila di questo teatro comunitario è statp un nucleo artistico formato non solo dai direttori Luigi Dadina e Lanfranco Vicari, e dal drammaturgo Tahar Lamri, ma anche dalla direttrice organizzativa Federica Francesca Vicari, dal musicista ravennate Francesco Giampaoli, dal percussionista Enrico Bocchini, e dagli attori Camilla Berardi, Marco Saccomandi e Marco Montanari di Spazio A. E infine il gruppo informale, nato spontaneamente fra i partecipanti del Coro, della Brigata Artistico Solidale del Grande Teatro.

 “Cosa significa fare la regia di un teatro comunitario? – si chiede Dadina – Con i musicisti, gli scenografi e i costumisti ci si confronta man mano che il progetto si delinea. Con il drammaturgo il lavorio è continuo; lo stesso avviene con chi condivide con me la direzione artistica del progetto. Ma è soprattutto con il Coro di questa smisurata platea, dai quattro agli ottant’anni, che spendo la parte più grande delle mie energie. Ogni persona possiede la propria aura e io, nel tempo a disposizione, ricerco il modo di entrare in contatto con essa. Questo è il nocciolo da cui scaturisce il lavoro comune.”