Noi, Cosa Nostra, il male. In scena l’“Autoritratto” di Davide Enia

L’11 dicembre al Teatro Laura Betti di Casalecchio

09 dicembre 2024

Negli anni Davide Enia si è imposto sulla scena nazionale e internazionale come un narratore capace di unire un racconto dalla dimensione collettiva a una trama più intima e personale, col valore aggiunto di una presenza attoriale potente, musicale, ritmica, tipica del “cunto” siciliano che ha saputo aggiornare al presente. Dopo aver raccontato le stragi in mare e gli sbarchi a Lampedusa nel pluripremiato L’abisso, nell’ultimo spettacolo lo scrittore, drammaturgo, interprete e regista palermitano racconta l’impatto di Cosa Nostra sulla nostra vita di persone, cittadine e cittadini. A trentadue anni dalle stragi mafiose Enia dipinge un autoritratto intimo e collettivo di una comunità costretta a convivere con la continua epifania del male. Autoritratto s’intitola infatti questo lavoro, che dopo il debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto è partito per una lunga tournée nei maggiori teatri italiani, e arriva al Teatro Laura Betti di Casalecchio l’11 dicembre, nell’ambito della stagione multidisciplinare curata da ATER Fondazione.

Lo spettacolo, frutto di una coproduzione CSS, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Accademia Perduta Romagna Teatri, Festival dei Due Mondi con il patrocinio della Fondazione Falcone, esplora il rapporto con Cosa Nostra e il suo devastante impatto emotivo nella vita delle persone, tenendo sullo sfondo Palermo, la cronaca degli anni ’90 e soprattutto il drammatico evento dell’uccisione del piccolo Giuseppe di Matteo. Fondamentali, come in altre opere di Enia, la presenza della musica, firmata anche stavolta da Giulio Barocchieri.

Autoritratto, scrive nelle sue note l’artista “è una tragedia, una orazione civile, un processo di autoanalisi personale e condiviso, un confronto con lo Stato, una serie di domande a Dio in persona. Per questo, questo lavoro è un autoritratto al contempo intimo e collettivo. Tutti possediamo una costellazione del lutto in cui le stelle sono persone ammazzate da Cosa Nostra. Ecco una costante dei palermitani: sentirsi ovunque costantemente in pericolo. La nevrosi è inscritta nel nostro orizzonte degli eventi. Lo spettacolo poi prenderà in esame un caso particolare, un vero e proprio spartiacque nella coscienza collettiva: il rapimento e l’omicidio di Giuseppe di Matteo, il bambino figlio di un collaboratore di giustizia, rapito, tenuto per 778 giorni in prigionia in condizioni spaventose e infine ucciso per strangolamento per poi venire sciolto nell’acido. Una storia disumana che si configura come l’apparizione del male, il sacro nella sua declinazione di tenebra. Siamo in presenza dell’orrore, di una ferocia smisurata, di una linea di azioni così abiette da essere impossibile ogni aggettivazione. E su tutto vibra il sacrificio di una vittima innocente. La verticalità della vicenda ha in sé tutti i requisiti della tragedia, soprattutto nella formulazione di domande che non possono avere risposte. Gli strumenti linguistici a disposizione per affrontare questo lavoro sono quelli che il vocabolario teatrale ha costruito nella mia Palermo: il corpo, il canto, il dialetto, il pupo, la recitazione, il cunto. È dentro questo linguaggio circoscritto che questo problema linguistico va affrontato, sviscerato, interrogato, risolto”.