- Data di pubblicazione
- 12/11/2025
- Ultima modifica
- 12/11/2025
Er Corvaccio e li morti: una Spoon River romanesca con Lino Guanciale
All’ingresso c’è un custode che “punta er naso all’infinito” e invita a seguirlo tra lapidi e memorie. È il Corvaccio, guida di un camposanto immaginario dove i morti parlano e, nel parlare, ridisegnano la mappa di una città. Mercoledì 12 novembre al Teatro Fabbri di Vignola va in scena Er Corvaccio e li morti, “una Spoon River romanesca” dai sonetti di Graziano Graziani, con la voce di Lino Guanciale e la musica dal vivo di Gabriele Coen (sax soprano, clarinetto) e Stefano Saletti (bouzouki, chitarra), progetto a cura di Lisa Ferlazzo Natoli/lacasadargilla.
Il dispositivo è semplice: il Corvaccio si rivolge direttamente al pubblico e, tomba dopo tomba, lascia affiorare figure che mescolano malinconia e ironia, schiettezza e cinismo – il robivecchi, la portiera, l’avvocato, la barbona – componendo un ritratto corale di Roma fatto di ricordi, modi di dire, idiosincrasie. Un mosaico che la scrittrice Maria Grazia Calandrone, nella prefazione all’edizione di Interno Poesia, ha definito appunto “un amaro e soave Spoon River de’ noantri”, cogliendo la grazia ruvida con cui la lingua romana sa tenere insieme tradizione e reinvenzione.
La cura scenica di Lisa Ferlazzo Natoli/lacasadargilla costruisce sette “movimenti” come variazioni di temi e figure: piccoli nuclei che aprono squarci, omaggi, riflessioni, fino a far emergere tra lapidi e terreno smosso le molte facce della città. Lino Guanciale attraversa questo paesaggio umano senza enfasi, dando corpo ai sonetti di Graziani con un ascolto attento del ritmo e delle tronche asprezze del dialetto. La musica di Gabriele Coen e Stefano Saletti amplia lo spazio dell’immaginario. Si parte da tradizionali romanesche – La campana a tocchi a tocchi, Sinnò me moro, L’ortolano – per poi migrare verso suggestioni più libere e contemporanee, tra scritture originali e riletture che, cambiando uno o due semitoni, attraversano geografie e tempi: Roma e Napoli, la Spagna e il Mediterraneo profondo, fino alla scala dorica ucraina e (nel commiato) alla scala frigia, l’araba Hijaz. Nel percorso s’incontrano anche uno stornello settecentesco (Tutte le notti in sogno), una quasi romanza (Nina si voi dormite), una canzone della guerra civile spagnola riscritta (L’Esercito dell’Ebbro) e un valzer in bilico sull’ambiguità armonica (Il segreto di Isabella). Er Corvaccio e li morti invita così a fare i conti con la vita dalla parte di chi l’ha già superata: uno sguardo laterale, a tratti irriverente, che restituisce l’umano nel suo piccolo raccolto quotidiano.