Famiglie in scena. 'In nome del padre' di Mario Perrotta

Il 6 e 7 giugno al Teatro Sociale di Gualtieri

04 giugno 2019

Cosa è cambiato nelle famiglie cosiddette “millennials” e quanto di universale ed eterno è rimasto? Intorno a uno dei nodi immutabili e inestricabili dell’esistenza ruota l’ultimo progetto di Mario Perrotta: una trilogia di spettacoli nata da un confronto con Massimo Recalcati, celebrità della psicanalisi, che proprio alle relazioni familiari ha dedicato larga parte delle sue ricerche. Dopo il debutto al Piccolo Teatro di Milano, e una lunghissima tournée in tutta Italia, il frutto della prima tappa del progetto, In nome del padre, scritto e diretto da Perrotta, con la consulenza alla drammaturgia di Recalcati, la collaborazione alla regia di Paola Roscioli, i costumi di Sabrina Beretta e le musiche di Giuseppe Bonomo e dello stesso regista, torna in regione per due repliche al Teatro Sociale di Gualtieri, il 6 e 7 giugno alle 21.30, nell’ambito di Terreni Fertili Festival.

Per questo nuovo viaggio negli abissi delle paure e dei desideri umani, il drammaturgo, regista e attore, pluripremiato negli anni per la forza delle parole e della presenza in scena di una voce e un corpo a un tempo capaci di raccontare storie e di incarnare figure, è inevitabilmente partito da sé, dalla figura del padre. “Se nel 2007 con Odissea avevo chiuso i conti con l’essere figlio – spiega l’artista – da quattro anni sono padre, una parola che mette con le spalle al muro e riempie il mio quotidiano di nuove sfide e di preoccupazioni. E ho bisogno, come sempre, di ragionarci a fondo attraverso gli unici strumenti che riconosco miei – la ricerca drammaturgica, la scrittura, la messa in scena, l’interpretazione – per inchiodare al muro i padri sbagliati che potrei essere, che vorrei evitare di essere usando tutta l’ironia e il sarcasmo che posso per esorcizzare queste mie paure”. In nome del padre, infatti, è il racconto della lotta quotidiana che accomuna la vita di tre uomini diversi, tre padri, diversissimi tra loro per estrazione sociale, provenienza geografica, condizione lavorativa, distinguibili solo per abiti e dialetti. Tutti e tre interpretati da Perrotta e tutti e tre di fronte a un muro, quella sponda invisibile che li separa da figli e pone tra loro un silenzio terribile, e che li rende ridicoli, accartocciati nella crisi che si scatena di fronte al mestiere più difficile del mondo.

D’altronde il nostro tempo, come ha spiegato lo stesso Recalcati, “è il tempo del tramonto dei padri. Ogni esercizio dell’autorità è vissuto con sospetto e bandito come sopruso ingiustificato. I padri smarriti si confondono coi figli: giocano agli stessi giochi, parlano lo stesso linguaggio, si vestono allo stesso modo. La differenza simbolica tra le generazioni collassa. Il linguaggio dell’arte – e in questo progetto di Mario Perrotta che ho scelto di accompagnare, il linguaggio del teatro – può dare un contributo essenziale per cogliere sia l’evaporazione della figura tradizionale della paternità, sia il difficile transito verso un’altra immagine, più vulnerabile ma più umana, di padre della quale i nostri figli – come accade a Telemaco nei confronti di Ulisse – continuano ad invocarne la presenza”. Una presenza che s’intreccia necessariamente all’altra, potentissima, della madre, protagonista della prossima tappa del lavoro di Perrotta, che con questa trilogia, nel guardare allo stravolgimento contemporaneo delle figure di padre, madre e figlio, prova a riportarle all’essenza delle loro relazioni.