Giuliana Musso, il teatro che guarda negli occhi

Con tre spettacoli a Cotignola, Parma e Minerbio, il 24 febbraio, 10 e 17 marzo

12 febbraio 2018

Il teatro di Giuliana Musso – attrice/autrice e ricercatrice tra le maggiori esponenti del teatro di narrazione e d’indagine – miscela indignazione e ironia e sta al confine tra la denuncia del giornalismo d’inchiesta e la delicatezza del teatro di poesia.  Lo raccontano  bene le motivazioni con le quali le è stato conferito il Premio Hystrio alla drammaturgia 2017: “Con una serie di creazioni, centrate su ciò che più vicino è al sentire della gente, in questi ultimi quindici anni Giuliana Musso si è imposta tra le autrici-perfomer più intense della scena italiana. La nascita, la morte, la fede, il sesso, la guerra: temi che toccano fino in fondo le donne e gli uomini contemporanei sono stati da lei esplorati con strumenti affini al giornalismo d’inchiesta e poi traslati in una drammaturgia limpida, portata in scena il più delle volte in forma di monologo, coinvolgente e sempre consapevole di ciò che il corpo del performer racconta a chi guarda. Spettacoli come Nati in casa (2001), Tanti saluti (2008), Sexmachine (2005), La fabbrica dei preti (2012), Mio eroe (2016), La base (2011) e Dreams (2011) sono esempi dell’efficace “giornalismo teatrale” a cui si è dedicata, ottenendo l’attenzione viva, spesso commossa, del pubblico. Artista della consapevolezza civile, Giuliana Musso registra dati, comportamenti, opinioni nei territori dove compie le proprie indagini (il Nordest italiano, soprattutto), ma non rinuncia all’empatia con lo spettatore, sia nei frequenti slanci comici sia nell’avvicinarsi, con pudore e partecipazione, a eventi altamente drammatici”.

In regione, tra  febbraio e marzo, ritroviamo in scena tre degli spettacoli menzionati dalla Giuria del premioNati in casa, La fabbrica dei preti e Mio eroe – e prodotti da La Corte Ospitale di Rubiera, da dieci anni ormai diventata la “casa” artistica della Musso.

“La fabbrica dei preti”, in scena sabato 24 febbraio (alle 21.00) al Teatro Binario di Cotignola, è un monologo dedicato alla dimensione umana e affettiva dei sacerdoti che l’educazione seminariale reprimeva, dissociandola dalla loro dimensione spirituale e devozionale. Si tratta di quella generazione di preti che sono entrati nel seminario prima del Concilio Vaticano II, ovvero negli anni Sessanta: Giuliana Musso dà voce a tre di loro che, ormai anziani, raccontano con franchezza la loro giovinezza, gli anni del seminario, i tabù, le regole, le gerarchie, l’idea clericale della donna, e poi le emozioni, i bisogni, le ribellioni e l’impatto con il mondo.

In bilico tra indagine storica e ironia popolare che appartiene al racconto orale, lo spettacolo, come precisa Giuliana Musso, “mentre racconta la storia di questi ex-ragazzi, ex-seminaristi, ci racconta di noi, delle nostre buffe ipocrisie, paure, fragilità… e della bellezza dell’essere umano. E così mentre ridiamo di loro, ridiamo di noi stessi e mentre ci commuoviamo per le loro solitudini possiamo, forse, consolare le nostre”.

La pièce intreccia tre diverse forme di racconto: il reportage della vita nei seminari, ispirato al libro “La fabrica dai predis” del sacerdore friuliano Pier Antonio Bellina e approfondito tramite un’ampia bibliografia cercata da Francesca Del Mestre, la proiezione di foto d’epoca e album privati montati in video da Giovanni Panozzo e Gigi Zilli – la ricerca fotografica è stata compiuta insieme a Tiziana De Mario – e la testimonianza diretta dei tre preti o ex preti. Ad accompagnare la narrazione e le immagini in bianco e nero ci sono le musiche e canzoni d’autore di Giovanni Panozzo, Daniele Silvestri, Massimo Serli, Mario D’Azzo e dei gruppi musicali Tiromancino e Maxmaber Orkestar. La consulenza musicale è di Riccardo Tordoni. Gli elementi di scena sono stati curati da Francesca Laurino.

Mio eroe, in scena sabato 10 marzo (alle 21.00) al Teatro al Parco di Parma è un monologo incentrato sul tema della guerra contemporanea, sull’esperienza della morte in guerra in tempo di pace. La pièce, già vincitrice del Premio Cassino Off 2017, è nella rosa dei quattro testi selezionati per The Italian & American Playwrights Project 2017/2019.

Anche in questa pièce le storie e i protagonisti sono tre: tre dei 53 militari italiani caduti in Afghanistan tra il 2001 e il 2014, durante la missione Isaf. La voce è quella delle loro madri, testimoni di quelle vite spezzate, che costruiscono un altare di memorie personali traboccante di amore per la vita, di nostalgia e di dolore, di desolazione e di furore, in cerca di parole e gesti per dare un senso al loro lutto. Nell’alveo di questi racconti intimi, a tratti lievi a tratti drammatici, prende però forza un discorso etico e politico: la voce stigmatizzata della “madre dolorosa”, da sempre confinata nello spazio dei sentimenti, si apre un varco, supera la retorica militaristica, esce dagli stereotipi, si pone interrogativi sulla logica della guerra, sull’origine della violenza come sistema di soluzione dei conflitti, sul mito dell’eroe e sulla sacralità della vita umana. E alla fine del monologo emerge, come una filigrana in controluce, che la voce delle madri piangenti, la loro maternità amputata e la loro sincera ricerca della verità, il loro j’accuse per quelle assenze imperdonabili, sono tutt’altro che sentimentali: di fatto sono il portavoce della più autentica razionalità umana.

Nati in casa, lo spettacolo con il quale nel 2001 Giuliana Musso si è imposta sulla scena nazionale, viene riproposto sabato 17 marzo (alle 21.00) a Palazzo Minerva di Minerbio.

Oltre alla firma della Musso, “Nati in casa” porta anche quella di Massimo Somaglino: a partire da numerose interviste raccolte in giro per un Nord-Est contadino (e ormai scomparso) a donne che in passato hanno svolto il difficile mestiere della “levatrice”, i due autori hanno elaborato un testo drammaturgico dedicato a questa desueta figura, l’ostetrica di paese che assisteva casa per casa le partorienti. È un monologo denso di memorie di indubbio valore storico, ma è soprattutto un mosaico di storie, toccanti e tutte al femminile, anzi tutte “all’umano”, profondamente umane nel raccontare l’intreccio di vita quotidiana e di quello straordinario e misterioso “lieto evento” che è la nascita, e poi nel fare il confronto tra la maternità di ieri e quella di oggi, quest’ultima più protetta ma anche ipermedicalizzata, trattata più da malattia che da evento naturale. E, non in ultimo, è uno spettacolo che vede in scena una narratrice eccezionale, che da sola riesce a dare vita a intere scene familiari, al contempo divertenti e poetiche, e impersonare con camaleontica abilità partorienti e levatrici, mariti e nonne, ragazzine e medici.

“Ho il desiderio di un teatro che ci guardi negli occhi e che ci ascolti – scrive Giuliana Musso – di una drammaturgia che nasca dall’indagine e trasferisca sulla scena la testimonianza di chi vive… Ho scoperto in questi ultimi dieci anni di lavoro che la cosa che mi interessa di più è l’ascolto del ‘reale’. Reale è l’esperienza concreta delle singole persone, la vita vissuta, che io amo chiamare il vivente”.