Giulietta e Romeo, un dittico. Alle Passioni il nuovo lavoro di Latini

Dal 31 ottobre al 12 novembre. Intervista a Roberto Latini e Federica Carra

29 ottobre 2023

E se Romeo parlasse a Giulietta, e Giulietta parlasse a Romeo, dallo stesso iconico balcone, ma in due momenti e due spettacoli diversi? È quello che succede in uno speciale dittico prodotto da ERT/Teatro Nazionale, con la drammaturgia e la regia di Roberto Latini, in scena al Nuovo Teatro delle Passioni di Modena dal 31 ottobre al 12 novembre, in prima assoluta. Con le musiche di Gianluca Misiti e il disegno luci di Max Mugnai, storici collaboratori di Latini e fondatori con lui della compagnia Fortebraccio Teatro, lo spettacolo è un concerto scenico per due interpreti che dialogano a distanza, composto dalle scene della tragedia shakespeariana in cui i due amanti sono insieme, ovvero l’incontro, il balcone, il matrimonio, all’alba dell’allodola, nella cripta. Nella prima parte del dittico, Giulietta (dal 31 ottobre al 5 novembre) ci sarà in scena lo stesso Latini, mentre nella seconda (dal 7 al 12 novembre) a interpretare Romeo è l’attrice Federica Carra. Abbiamo incontrato i due protagonisti di questo lavoro, ecco cosa ci hanno raccontato.

 

Intervista a Roberto Latini

Perché un dialogo a distanza?

Perché il campo d’azione e di sviluppo sono le cinque scene in cui Romeo parla con Giulietta e Giulietta parla con Romeo.
Solo i loro dialoghi, di quando sono in presenza una dell’altro:
l’incontro alla festa;
la scena del balcone;
il matrimonio segreto;
all’alba, tra l’allodola e l’usignolo;
nella cripta.
Ho pensato che sarebbe stato possibile presentare due variazioni dello stesso tema, separandole, eppure tenendole in relazione costante.
Far dialogare due spettacoli, non soltanto i protagonisti.
Due spettacoli molto diversi, promessi, compromessi, distillati dalla stessa sostanza, in due diverse forme sensibili.

Perché l’inversione dei ruoli maschile/femminile?

Maschile e Femminile si danno appuntamento nella fluidità salvifica del Teatro, che non ha necessità alcuna di attribuire voci e suoni. È lo stesso cuore di uomini o donne, lo stesso.
Non c’è questione di genere. Non sono io a interpretare Giulietta o Federica Carra, Romeo.
Sono i capitoli che ci ospitano a intitolarsi Giulietta o Romeo.
Il maschile o il femminile è già dentro le parole di Shakespeare, che ce le offre come un dono messo da parte nel tempo e al quale possiamo ritornare ciclicamente.

“Stai leggero nel salto”, recita il sottotitolo. Come si coniugano leggerezza e tragedia shakespeariana?

Al meglio del contemporaneo.
Credo davvero sia necessario stare in tutta la leggerezza possibile, per poter muovere nello slancio del salto possibile, oltre il confine mobile intorno al quale costruiamo le nostre proposte, tra platea e palco.
A un certo punto, nel secondo atto, Giulietta chiede a Romeo come abbia fatto a scalare gli alti muri del giardino e lui risponde: – con le ali leggere dell’amore.
Ecco, le ali leggere sono quelle che permettono di scalare i muri e di immaginare oltre.

Cosa ascolteremo in scena? Nella sua drammaturgia ci sono altre parole, oltre a quelle del Bardo?

Sì, ci sono altre parole, altre belle finestre spalancate sulla quotidianità della generazione di quando eravamo più giovani, grazie al lavoro di Collettivo Treppenwitz.
Ci sono le parole e tutti i silenzi possibili, le musiche di Gianluca Misiti, le luci di Max Mugnai,
e le dinamiche, i tempi e la concertazione di tutto quello che dal palco ci diventa invece intrattenibile.

 

Intervista a Federica Carra

Come si sente nei panni di Romeo?

Non sarò Romeo, mi farò voce e portavoce di entrambi i protagonisti della tragedia shakespeariana.
La scelta di intitolare la mia variazione “Romeo” e quella interpretata da Roberto Latini “Giulietta” permette di allontanare la possibilità di una sovrapposizione tra interprete e personaggio.

Con chi intesse il suo dialogo impossibile? A chi si rivolgono le sue parole? A una Giulietta assente, a una Giulietta immaginata, al pubblico?

A partire dalla scelta drammaturgica, le battute si susseguono senza distinzione di ruolo; le parole si incontrano, scontrano e confondono.
Quello che resta è il fluire e l’eco di un amore, di piccole parole grandissime.
L’amore verso cui ci rivolgiamo, quello senza il quale ci si sente morire, quello che non ci fa dormire, quello che è per sempre, quello che ci fa ridere, piangere e ridere ancora.
Quell’amore che ci appartiene e riguarda, intimamente, tutti.
L’amore che ci sopravvive.

Lei è stata di recente protagonista dell’Edipo di Baliani, ma ha anche attraversato molti spettacoli di drammaturgia contemporanea. Quale è il suo rapporto con i classici?

Direi un rapporto imprescindibile. Penso che i classici siano l’alfabeto e la grammatica della lingua teatrale, senza i quali non potremmo comunicare né orientarci.
Non credo sia possibile pensare e agire teatralmente nel contemporaneo senza riferirsi o quantomeno conoscere il nostro patrimonio teatrale.