La casa dei Rosmer. Le Belle Bandiere esplorano il grande “giallo” di Ibsen

Il 26 marzo al Comunale di Russi e il 27 marzo al Teatro Levi Montalcini di Mirandola

26 marzo 2024

È il più moderno degli autori moderni, il drammaturgo che ha scoperto la psiche, il fratello gemello di Freud – come lo definì in modo geniale Massimo Castri, grande maestro della regia novecentesca. E d’altronde quale grande protagonista della stagione della regia critica – pensiamo a Ronconi – non ha amato Henrik Ibsen, i suoi paesaggi nordici e i suoi salotti borghesi, claustrofobici, carichi di tensione, le sue parole veloci e taglienti, quasi proto-cinematografiche, che una battuta dopo l’altra svelano le ragioni profonde di ognuno dei personaggi, il loro passato, i loro fallimenti. Non stupisce allora che a mettere mano a uno dei suoi massimi capolavori, La casa dei Rosmer, siano oggi due artisti come Elena Bucci e Marco Sgrosso, fondatori de Le Belle Bandiere, che hanno mirabilmente affrontato altri grandi drammaturghi della mente, antichi e moderni: uno su tutti, Thomas Bernhard. Dopo il debutto a Prato, la loro “Rosmersholm” sarà in scena in regione per due repliche nei teatri di ATER Fondazione. L’appuntamento è il 26 marzo al Teatro Comunale di Russi, e il 27 marzo al Teatro Rita Levi Montalcini di Mirandola.

Come si evince dal titolo, protagonista del dramma ibseniano è innanzitutto una casa: la dimora di una famiglia che vanta una centenaria genealogia di uomini importanti – di chiesa, politici, governanti – vissuti secondo i valori della tradizione e nella certezza di essere nel giusto. Con il suo parco, le vetrate, i grandi ritratti degli antenati, i ninnoli, i fiori, la casa emana autorevolezza e prestigio, è il simbolo di una vita agiata, operosa, rigorosa, austera, di indubbia moralità. Induce riverenza e curiosità: quali felici e fortunate esistenze si nasconderanno in quelle stanze? Eppure in Casa Rosmer non si ride mai. All’apertura del dramma incontriamo il discendente Johannes Rosmer, ex pastore vedovo, che vuole affrancarsi dal passato abbracciando nuovi ideali che lo mettono in contrasto con l’antico mondo di appartenenza. Ritenuta responsabile di questa inversione di percorso è Rebekka West, la misteriosa governante rimasta nella casa anche dopo il suicidio della moglie di Rosmer, Beata.

Elena Bucci e Marco Sgrosso esplorano questo “giallo” teatrale per trarre le radici delle contraddizioni che viviamo nel nostro presente. Quello ritratto da Ibsen è infatti uno scenario che si ripete nella storia: una politica intessuta di intrighi, prepotenze e menzogne perpetrate sia in nome della conservazione che del cambiamento, rapporti di convenienza travestiti da felicità che si nutrono di ambizione e crimini. “Questa favola cupa – commenta Elena Bucci – dove relazioni, personaggi e dialoghi solo in apparenza naturalistici scivolano nel fantastico e nel simbolico, lascia un imprevedibile spazio all’umorismo, quando si intravedono con tenerezza le paure e le mediocrità di ognuno dei personaggi, che tanto somigliano a quelle di noi tutti. Casa Rosmer è un palcoscenico, è il mondo. Affacciati alla grande finestra del sipario attori, personaggi, pubblico, spiano l’uno nell’altro il futuro”. Marco Sgrosso aggiunge: “In Casa Rosmer le ombre sono attraversate da bagliori improvvisi e gli austeri ritratti dei posteri sono costretti ad ascoltare confessioni inaudite, la calma piatta è inquinata da inquietudini feroci e gli interni silenziosi insidiati da sottili minacce esterne. Con una forza ereditata dalla tragedia greca, i morti tornano a condizionare l’esistenza dei vivi, rendendola un continuo, snervante esame di coscienza”.