- Data di pubblicazione
- 17/04/2020
- Ultima modifica
- 17/04/2020
#laculturanonsiferma. Pippo Delbono: “Dopo la Battaglia” c’è ancora vita
La seconda puntata dello Speciale il 18 aprile alle 19.40
Prosegue con Dopo la Battaglia, Premio Ubu come migliore spettacolo del 2011, lo Speciale dedicato a Pippo Delbono presentato dal cartellone #laculturanonsiferma in collaborazione con ERT Fondazione. L’appuntamento con la seconda puntata di questa preziosa mini-retrospettiva (che comprende la messa in onda quattro grandi lavori del regista ligure) è per venerdì 18 aprile alle 19.40. come sempre su Lepida Tv ed Emilia Romagna Creativa.
“Questo spettacolo nasceva come un’opera lirica da presentare al Teatro Bellini di Catania, ma poi la crisi economica, i tagli al Fus, hanno ridotto via via questo progetto. Prima sono scomparsi i cantanti solisti, poi è scomparso il coro, poi è scomparsa l’orchestra, e infine è scomparso tutto il progetto dell’opera. Tutto è naufragato”. Si apre così il lavoro, con queste parole sussurrate al microfono da Delbono che ancora una volta mescola e confonde potenziale attualità e metafora di disperati naufragi esistenziali ricordandoci, uno spettacolo dopo l’altro, che il suo teatro non rappresenta ma inventa un mondo. Un mondo di cui protagonista assoluto è la sua voce, l’avventura della sua interiorità, il suo io narrante che accompagna nelle scorribande della mente, dalle invettive politiche agli slanci poetici, tra digressioni autobiografiche, preghiere, invocazioni strazianti.
Lo spettacolo rappresenta una tappa importante nel percorso artistico di Delbono, che immette una linfa diversa nel suo linguaggio, puntando molto su effetti video e atmosfere cinematografiche, su immagini realizzate dallo stesso regista con il suo cellulare, a proseguire la sperimentazione del suo film La Paura girato appunto interamente con un telefonino. E in effetti l’opera, pur non potendosi definire “lirica” come genere, attinge certamente a un immaginario monumentale tipicamente operistico, proponendo un viaggio potentemente visionario in cui parole, suoni e luci disegnano sulla scena spazi immaginifici, una foresta di simboli che precipitano gli spettatori nel labirinto mentale dell’autore popolato da ogni sorta di figure: inquietanti, malinconiche, sognanti, meravigliose. Ambientandole in uno spazio grigio che ricorda la cella di un carcere o di un manicomio (in ogni caso uno spazio di confinamento e punizione dell’essere umano) il regista snocciola una serie di riflessioni politiche su un’Italia alla deriva che nel 2011 festeggiava il suo centocinquantesimo anniversario dall’Unità tra le macerie, e le mescola a pensieri e parole che raccontano di paure, fallimenti, naufragi individuali, attingendo all’universo letterario di Antonin Artaud, Franz Kafka, Alda Merini, Pier Paolo Pasolini, Walt Whitman, Rainer Maria Rilke e Alejandra Pizarnik.
Gli attori della Compagnia irrompono continuamente in quel mare in perenne metamorfosi a cui tutti gli spettacoli di Pippo Delbono ci hanno abituati. Ad accompagnare questo viaggio però c’è una presenza nuova, la danzatrice Marigia Maggipinto, storica componente della compagnia di Pina Bausch. Ma Dopo la battaglia è occasione di incontro e scambio anche con alti due grandi artisti della scena. Uno di questi è Alexander Balanescu, musicista e violinista di fama internazionale, che è autore e interprete delle musiche dello spettacolo; il dialogo con la danza lo conduce invece all’incontro con Marie-Agnès Gillot, étoile dell’Opéra di Parigi, lei stessa interprete delle coreografie della Bausch nel repertorio del suo corpo di ballo.
Insieme a loro, Delbono fiancheggia e sospinge i suoi compagni Dolly Albertin, Gianluca Ballaré, Bobò, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Julia Morawietz, Gianni Parenti, Pepe Robledo e Grazia Spinella sulla scena di uno spazio-mente grigio in cui sfilano vizi e miserie di un popolo ingabbiato e cieco “incarcerato sempre di più – scrive nelle note il regista – in una schizofrenia tra un corpo e un’anima, tra un’idea di capi, di sovrani, di Dio che sovrasta, e un’idea di uomo che deve sottomettersi sempre di più”. Ma lo spettacolo, l’atto creativo, come sempre si rivelerà ampiamente catartico. D’altronde, nelle parole dell’autore, consegnate a una serie di scritti poetico-politici pubblicati da Barbes, “Dopo la battaglia nasceva da un bisogno di scappare, di ritornare, di urlare, di piangere, di ridere, di giocare ancora, di perdersi ancora, di ritrovare ancora un centro, di ritrovare ancora la rivolta, di ritrovare una fede, una lucidità, di ritornare a parlare dell’amore, a parlare con il corpo, a parlare con i suoni, a parlare con la danza.”