- Data di pubblicazione
- 27/04/2020
- Ultima modifica
- 27/04/2020
#laculturanonsiferma. Principi e Prigionieri. Un documentario sulla storia di Teatro Due
In programma il 27 aprile alle 20
È una storia lunga e speciale, unica in Italia, quella del Teatro Due di Parma. Non solo per la longevità (era il 1977 quando sei ragazzi e una ragazza, tutti giovanissimi, fondarono la Compagnia del Collettivo), ma per la fiducia straordinaria riposta nella possibilità di portare avanti un progetto di gruppo stabile che lavorasse su un territorio facendo del proprio lavoro culturale un presidio di lotta permanente.
A raccontare questa storia, ripercorrendone tutte le tappe, dalla nascita del Collettivo, fondato su un principio di parità operativa ed economica tra i sette artisti, all’insediamento a Teatro Due, alla nascita della Fondazione che dal 2000 gestisce le attività dell’Ensemble, è un documentario di Amedeo Guarnieri e Lucrezia Le Moli Munk, prodotto da Reggio Parma Festival con la produzione esecutiva di Fondazione Teatro Due, in onda su Lepida TV ed Emilia Romagna Creativa il 27 aprile alle 20 per il cartellone regionale #laculturanonsiferma.
Principi e Prigionieri, s’intitola, per rendere conto della doppia anima che innerva la vita di attori e attrici di Parma, a un tempo “principi di un regno immaginifico e prigionieri di un ruolo assegnato”. Attraverso una narrazione emozionante, fatta di materiali d’archivio e interviste intime ai membri fondatori della Compagnia del Collettivo cucite in sceneggiatura da Guarnieri, il documentario percorre un viaggio lungo oltre cinquant’anni che ha visto l’avventura di una compagnia intrecciarsi giocoforza alla storia politica e sociale del nostro paese. Oggi l’Ensemble conta tra le sue fila non solo i fondatori, ma artisti che si sono aggregati nel tempo provenendo da tutta Italia. Nel corso del racconto reso ancora più emozionante dalle musiche di Europa Galante, Alessandro Nidi, Emanuele Nidi, The Karma Keeper si ritrovano così voci e volti di Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Gigi Dall’Aglio, Paola De Crescenzo, Davide Gagliardini, Giorgio Gennari, Walter Le Moli, Luca Nucera, Tania Rocchetta, Massimiliano Sbarsi, Marcello Vazzoler ed Emanuele Vezzoli, ma si incontrano anche artiste e artisti che hanno incrociato la strada dell’Ensemble e l’hanno arricchito di nuove esperienze poetiche, come è accaduto con Pina Bausch, Valerio Binasco, Fabio Biondi, Ninetto Davoli, Filippo Dini, Raffaele Esposito, Fulvio Pepe, Massimo Popolizio, Elisabetta Pozzi e Peter Stein.
Voce narrante del documentario (di cui firma anche fotografia e co-regia) è Lucrezia Le Moli Munck, figlia di Walter Le Moli, tra i membri fondatori del Collettivo. “È da quando sono bambina che assisto al lavoro della compagnia” – racconta la regista – Ho visto passare innumerevoli vite al suo interno: attori, registi, danzatori, musicisti… Li guardavo ammirata, mi colpiva il fatto che cercassero sempre qualcosa: lavorando, immaginando, combattendo. Ho assistito ai cambiamenti di una compagnia che da gruppo diventava teatro, ho percepito gli entusiasmi, i dissapori, l’esaltazione per le conquiste. Quando una nuova generazione di attori si è insediata, arricchendo le fila della compagnia storica, tutto si legittimò nuovamente, la storia della Compagnia del Collettivo, nell’immaginario mitico di molti, era diventato terreno per costruire il presente. Giovani attori, provenienti da ogni parte d’Italia, abbracciavano gli oneri e gli onori che lavorare a Teatro Due comportava. Provare il pomeriggio per uno spettacolo e di sera andare in scena con un altro e così a ciclo continuo; scegliere che il proprio tempo, il proprio agire sia qui e non altrove, diventare principi di un regno immaginifico e prigionieri di un ruolo assegnato. Spesso, lavorando a Principi e prigionieri, ho ripensato alle parole di uomo di teatro. A chi gli chiedeva della sua professione, rispondeva così: Se qualcuno avesse chiesto a me e ai miei amici quale fosse la ragione della nostra furia ostinata, non avremmo saputo rispondere. Noi facevamo teatro perché facevamo teatro. C’era chi doveva stare sul palcoscenico nella luce, rivolgendosi ad altre persone sedute nel buio”.