Le amarezze di Koltès. Intervista ad Andrea Adriatico

Dal 10 al 21 gennaio a Teatri di Vita

09 gennaio 2024

“L’hanno aggredito con la violenza e la rapidità della grandine e del vento, senza che un tratto del suo volto abbia avuto un fremito. Stracciato, bruciato, in piedi finalmente, ha fermato gli elementi come si soffia su una candela. E la sua voce ha trafitto il silenzio”. Così si chiude la presentazione che Bernard-Marie Koltès, appena ventiduenne, fa della sua opera Le amarezze, e del suo protagonista Alexis.

Adesso quel testo giovanile di Koltès, tra i più grandi drammaturghi francesi del ‘900, viene messo in scena in Italia in uno spettacolo di Andrea Adriatico, che dell’autore di capolavori come “La notte poco prima della foresta” e Nella solitudine dei campi di cotone”, ha portato in scena molte opere nel corso di una lunga frequentazione. Per la prima volta in Italia, il regista affronta il cantiere adolescenziale di Koltès, portando appunto in scena Le amarezze (nella traduzione di Marco Calvani), testo che vede un ragazzo al centro di un vortice di relazioni familiari e sociali lacerato da conflitti e presagi di morte, nato da una riscrittura del romanzo autobiografico di Maksim Gor’kji Infanzia. Adriatico ne fa un grande spettacolo corale che vede in scena Olga Durano e Marco Cavicchioli, e Anas Arqawi, Michele Balducci, Innocenzo Capriuoli, Rita Castaldo, Ludovico Cinalli, Nicolò Collivignarelli, Alessio Genchi, Giorgio Ronco, Myriam Sokoloff. L’opera, una produzione di Teatri di Vita, sarà in scena nel teatro di  via Emilia Ponente dal 10 al 14 e dal 17 al 21 gennaio 2024.

Ne abbiamo parlato con il regista.

 

Lei è stato uno dei più assidui frequentatori del teatro di Koltès. Cosa la conquista delle sue opere e della sua scrittura? Il teatro è un fiume di parole. Se ne usano tante, e attraverso le epoche la storia del teatro ha prodotto opere differenti con differenti modi di usare il linguaggio. Io sento Koltès mio prossimo. È un autore che mi parla come se fossimo seduti uno accanto all’altro davanti ad un caffè. Mi parla, lo capisco ed ho voglia di ascoltarlo. altro non so.

Con Le amarezze entra in un campo davvero poco esplorato del cantiere creativo dell’autore francese, quello della scrittura giovanile. Nelle prime opere di un autore ci intravedono spesso tutte le questioni più urgenti che spingono l’artista a intraprendere un viaggio creativo. È così anche per Koltès?  Quest’anno è uscito un bellissimo libro di lettere e scritti di Koltès. Leggerlo è di nuovo come tornare davanti a quel caffè, assaporare l’intimità di un’esistenza breve che è un’esistenza unica. E quest’autore, morto giovanissimo, non ci ha permesso di esplorarlo in una maturità che non ha vissuto. Perciò considero tutta la scrittura di Koltès una scrittura giovanile, ardita, sfrontata, come la gioventù vuole. Ne “Le amarezze”, titolo magnifico, si coglie molto lo stimolo di un autore che è un traduttore, ma anche un instancabile viaggiatore, ma anche un sopraffino cultore del linguaggio. E l’opera apre il 1970, dunque è post sessantottina, a Parigi, pur non avendo nulla di quel sapore. Questo mi affascina moltissimo. Si può essere politici senza essere cronachistici. Ritrovo ne “Le amarezze” tutta la forza degli anni ’70, la ribellione, la nascita del femminismo, la rifunzionalizzazione dell’idea di famiglia. Ma senza bolli o marche temporali.
C’è chi direbbe che è un’opera minore, come molti mi dissero che “Il ritorno al deserto” sarebbe stato irrappresentabile.
Penso che le opere teatrali, una volta scritte, siano appannaggio di chi le riceve e le rilegge e dunque abbiano l’arduo compito di affondare sempre in altri tempi.
La mia è certamente una rilettura matura del 2023, figlia di un presente tutt’altro che giovanile, figlia di un tempo di guerra e di aggressione all’infanzia, figlia di un vissuto amaro come in pochi periodi della mia vita ho assaporato.
E di quel testo ho colto tensioni che sono figlie di riflessioni da fine vita, non da gioventù.
È il bello della regia.
 
Cosa dobbiamo aspettarci dalla sua messa in scena? Come ha coniugato l’intimità di questo testo con la coralità del cast di grandi attrici e attori che ha diretto? Per restare nel discorso, nelle mie “amarezze” ci sono in scena attori e attrici bravissimǝ e agée accanto ad attori e attrici bravissimǝ molto giovani.
Perché la vita è fatta di tempi paralleli che spesso non si incontrano. La coralità delle mie formazioni è sempre superiore alla mia capacità di gestirle. Si forma da sé, forse grazie alla mia equidistanza. Io non ho proseliti e non professo santonalità. Sbraito ugualmente coi giovani e coi meno giovani. Questo produce sempre un grande collante tra gli altri, mentre io vivo di isolamento, come è giusto che sia.
Amo le persone con cui lavoro, se non le amo diventa un problema importante.
Poi questo non è un testo intimo, anzi. È un testo, come tutti quelli di Koltès, che usa il primo piano per parlare di un campo largo, che usa l’intimità per parlare di collettività. È un testo politico. E il mio teatro è politico. E la politica è più interessante se abbraccia un tempo ampio.