Le conseguenze del potere. Tito e Giulio Cesare secondo Russo, Santeramo e Sinisi

Dal 4 al 7 aprile all’Arena del Sole di Bologna

03 aprile 2019

Privato e politico, desiderio intimo e dovere pubblico. Quali identità per quali eroi? La doppia riscrittura dal Tito Andronico e dal Giulio Cesare di Shakespeare, ideata da Gabriele Russo per il progetto Glob(e) al Shakespeare (Premio ANCT 2017) con la produzione del Teatro di Napoli e del Teatro Bellini, viaggia su un doppio binario, sul confine sottile tra tragedia e dramma, per esplorare un dilemma immortale che in tempi di forte sovrapposizione tra i piani dell’esistenza si carica di un senso nuovo.

La doppia opera si vedrà sul palcoscenico dell’Arena del Sole di Bologna, dal 4 al 7 aprile e i due atti, presentati in forma di dittico, rispettivamente diretti da Gabriele Russo e Andrea De Rosa, condividono lo spazio scenico creato da Francesco Esposito, i costumi di Chiara Aversano, le luci di Salvatore Palladino e Gianni Caccia e il sound design di Alessio Foglia /G.U.P. Alcaro, come fossero due ante di una stessa riflessione sulle conseguenze del potere.

Un potere rifuggito, nel caso della riscrittura del Tito Andronico, che non a caso Russo intitola solo Tito, rileggendo, con riscrittura di Michele Santeramo, la più sanguinaria tragedia di Shakespeare in chiave anti-epica. In scena, con il Tito di Fabrizio Ferracane, Antimo Casertano, Nicola Ciaffoni, Rosario Tedesco, Ernesto Lama, Daniele Russo, Martina Galletta, Daniele Marino, Francesca Piroi, Jona Capello, Filippo Scotti e Andrea Sorrentino. Ricordando echi del precedente “Nullafacente” del drammaturgo, Tito diventa un eroe stanco, un padre di famiglia oppresso dal peso di una vita passata in guerra e dalle responsabilità che ne sono conseguite, un uomo alla ricerca della normalità, della pace ma impossibilitato a deporre il suo ruolo tragico, sia in casa che fuori, e costretto a rispondere all’incombere della tragedia che torna obbligandolo a una vendetta che lui stesso considera insensata.

Il Giulio Cesare riscritto da Andrea De Rosa insieme al drammaturgo Fabrizio Sinisi, privilegia invece l’aspetto politico e filosofico del dramma, interrogandosi sulla legittimità dell’uccidere il tiranno, quesito diventato novecentesco per eccellenza ma che interroga profondamente anche un presente di sopraffazione capillare e invisibile. In un allestimento dall’atmosfera metallica, i congiurati Bruto, Cassio e Casca, rispettivamente interpretati da Andrea Sorrentino, Daniele Russo e Nicola Ciaffoni, cercano infatti le ragioni profonde del loro omicidio, restandone travolti, mentre Antonio (Rosario Tedesco) cerca di ricomporre un ordine dando sepoltura a Cesare e cercando di immaginare il cambiamento: chi, o cosa può venire dopo Cesare? Tornare alle antiche forme o assecondare il nuovo corso dell’epoca? Basterà un omicidio a salvare la res publica? Evidentemente no, perché, come spiega il regista, “prendendo lo Stato, Cesare ha impersonato lo Stato, lo ha plasmato e modificato strutturalmente, tanto che, anche dopo il suo assassinio, niente potrà essere più lo stesso. Uccidere il Tiranno può non bastare perché spesso il potere del Tiranno risiede proprio nella comunità che lo subisce, che arriva talvolta a proteggerne e tutelarne il dominio”.