- Data di pubblicazione
- 26/09/2018
- Ultima modifica
- 26/09/2018
Lontano da qui. Opera in musica su precarietà e rinascita
Al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia, il 28 e il 30 settembre
Lontano da qui è una novità assoluta, un’opera per tre voci e ensemble commissionata dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto e affidata a Filippo Perocco (Premio Abbiati 2016), uno dei più noti compositori della scena contemporanea, e alla regia di Claudia Sorace di Muta Imago, compagnia teatrale di ricerca tra corpo e modi installativi. Coprodotta dalla Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, con il supporto di Ernst von Siemens Music Foundation, dopo il debutto a Spoleto (il 7, 8 e 9 settembre), l’opera approda al Festival Aperto di Reggio Emilia (nella sezione “Teatro per la musica e per lo spazio”) e va in scena al Teatro Cavallerizza venerdì 28 settembre (alle 20.30) e domenica 30 settembre (alle 18.00).
Dedicata agli abitanti della Valnerina, dopo le devastazioni del terremoto del 2016, con le sue macerie materiali e ferite psicologiche, l’opera mette in musica e in scena una riflessione sul cambiamento, la memoria, la precarietà e infine la rinascita. Il libretto è di Riccardo Fazi (cofondatore di Muta Imago); la realizzazione delle scene e del video di Maria Elena Fusacchia.
Marco Angius dirige l’Ensemble strumentale e cantanti del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli” e l’Ensemble “L’arsenale”. Tre le interpreti vocali: Daniela Nineva (mezzosoprano), Livia Rado (soprano) ed Emanuela Sgarlata (soprano). In scena però ci sono solo due di loro: la Rado nel ruolo di una figlia e la Nineva nelle vesti di sua madre. La terza protagonista è la Natura, assente fisicamente, ma che si fa presenza vocale tramite la Sgarlata.
La vicenda parte dalle scene di vita quotidiana, passa dallo stravolgimento della routine, arriva alla trasformazione che segue, alla svolta, al tentativo di ricominciare, si nutre di frammentazioni e frantumazioni, tessere di un puzzle da ricollegare con il supporto della memoria, riconnettendo il prima e il dopo dell’evento drammatico e traumatico. “Prima che accada una catastrofe a cambiare il normale corso degli eventi – scrive la regista Claudia Sorace – Dopo che è accaduta per archiviare tutto quello che è stato. È il tentativo di riavvolgere il nastro, non tanto nella speranza che la catastrofe non accada, quanto per cercare di attraversare tutto quello che è stato e che non è più per poterlo portare via con sé, nel futuro. Prima tutto scorre in una tranquilla routine, tra una madre e una figlia che abitano una casa di un piccolo paesino. Poi tutto cambia. La casa che prima era il luogo della routine, non sempre piacevole, come tutte le routine, si scompone. La figlia inizia un percorso all’inverso, tornando al passato, in cerca di una via d’uscita verso il futuro. Rielaborare quello che è stato non è un’attività nostalgica, è al contrario una potente azione risanatrice. La nostra protagonista, la figlia, compie questo movimento, prima di essere pronta ad andare via, piena di tutto quello che è stato, lontano da qui”.
L’idea dell’opera è nata dal suono delle campane. Nel deposito dei Beni Culturali di Santo Chiodo, a pochi chilometri da Spoleto, sono custodite quelle che Filippo Perocco chiama “campane dormienti”, per lui l’elemento cardine che ha dato il via alla fase di scrittura e che lo ha accompagnato per tutta la durata del suo lavoro “Quel suono – spiega il compositore – appare come un ricordo, come profilo eroso e distorto della memoria fortemente legata ad un territorio. Altri elementi della memoria umana e “il ricordo di vita anteriore” ricorrono come ombre dilaniate. Queste radici, che tracciano la serenità e la crudezza della quotidianità, non rappresentano un vincolo bensì una delle possibili soluzioni per dar voce ad aspetti universali della vita dell’uomo, di oggi e di ieri.”