- Data di pubblicazione
- 15/02/2023
- Ultima modifica
- 15/02/2023
Progetto Hitler. Intervista a Fabrizio Sinisi
La Gloria, in scena il 19 febbraio a San Giorgio di Piano per la Stagione Agorà
Vienna, 1907. Un aspirante artista, appena arrivato da Linz con il sogno di diventare un grande pittore, tenta senza successo di entrare all’Accademia di Belle Arti. Il rifiuto, il sogno infranto e la miseria in cui sprofonda nei mesi successivi spingono il giovane ad arruolarsi nell’esercito e a cominciare un percorso militare e politico che farà la storia. Il ventenne aspirante artista si chiama infatti Adolf Hitler.
Attorno a questo aneddoto biografico poco noto della vita del dittatore nazista, il drammaturgo, scrittore e critico letterario Fabrizio Sinisi ha annodato i fili di un’indagine sulle origini delle dittature nel mondo occidentale e sui suoi rapporti con la psiche giovanile. Il progetto, composto da due spettacoli prodotti da La Corte Ospitale, entrambi diretti da Mario Scandale, è partito nel 2019 con La Gloria, opera vincitrice del bando Forever Young 2019/20, che parte proprio dalle ambizioni artistiche del giovane Hitler in una Vienna di inizio secolo, e pone domande su quale sia il confine tra un visionario e un mitomane. In scena Alessandro Bay Rossi, Dario Caccuri, Marina Occhionero rispettivamente nei panni di Hitler, dell’amico musicista Kubizek, e un’amica dei due, Stefanie. Lo stesso cast, con l’aggiunta di Luca Tanganelli è protagonista del secondo capitolo, realizzato in co-produzione con l’Accademia Silvio d’Amico di Roma, intitolato invece Incendi. Questo secondo lavoro, un’indagine sulla seduzione della violenza che percorre ogni società, è ambientato a Berlino negli Anni Trenta, dove le storie e le scelte di due membri di spicco della Gioventù Hitleriana e di una studentessa appena arrivata in città per frequentare la facoltà di lettere s’intrecciano alle vicende politiche tedesche, ovvero all’euforia e ai fantasmi inquietanti legati all’ascesa di Hitler.
In attesa di rivedere La Gloria, in scena il 19 febbraio a San Giorgio di Piano per la Stagione Agorà, abbiamo incontrato l’autore del progetto.
Perché un progetto su Hitler? Cosa riteneva di poter raccontare che ancora non fosse stato detto a proposito del “grande dittatore”?
Il grande storico Braudel diceva che fare un lavoro storico significa rivolgere al passato inquietudini e interrogativi del presente. Molti elementi della situazione politica internazionale di oggi ricordano gli anni che precedettero l’ascesa del nazismo: crisi economica, nazionalismi, sfiducia nelle istituzioni, attrazioni collettive verso la forza, l’autoritarismo, l’irrazionalità. Questo progetto indaga episodi e situazioni poco note del “grande dittatore”, rivelando ciò che sta “sotto” l’apparenza della forza: l’insicurezza, la paranoia, la mitomania, il conformismo. La piccolezza, anche, la meschinità e la miseria umana. Spesso si dice che Hitler era un demonio, un’incarnazione del Male. Credo che sia falso: Hitler era un essere umano, animato da pulsioni e disturbi umani, in certi casi addirittura comuni, e credo sia questo a renderlo più pericoloso, e che abbia fatto sì che tantissimi tedeschi si siano identificati nei suoi deliri. L’idea di un mostro, in un certo senso, è rassicurante, perché mette una distanza. Invece in Hitler e nel nazismo c’è qualcosa di radicalmente umano, che deve, io credo, metterci in uno stato di vigilanza, sia verso noi stessi che verso gli altri.
Protagonisti di entrambi i lavori sembrano in realtà i giovani, o meglio quell’età in cui forza e fragilità possono incanalarsi in una direzione o nel suo opposto. In che modo ha indagato quella condizione?
In primo luogo a partire da me stesso: ho trentacinque anni, la giovinezza è un’età in cui (purtroppo) non posso dire di essere ancora, ma che ho attraversato di recente. E ho poi lavorato con un regista, Mario Scandale, e quattro attori (Marina Occhionero, Alessandro Bay Rossi, Dario Caccuri e Luca Tanganelli) tra i migliori della nuova generazione teatrale. Lavorare sul tema della giovinezza è uno dei fondamenti del progetto, per le ragioni che giustamente lei dice già nella sua domanda: nella giovinezza coesistono una straordinaria energia insieme a una incredibile confusione, la struttura della persona non è ancora formata, è in quel momento che si costruisce la forma delle proprie aspirazioni e dei propri desideri. Il nazismo non è stato solo Adolf Hitler, ma un’intera generazione di tedeschi cresciuti nella frustrazione, nella rabbia, nel risentimento, pieni di aspettative insoddisfatte. Si dice spesso che le radici di una persona sono nella sua infanzia, ma credo che altrettanto importante sia la stagione che segue l’adolescenza: è a quell’età, forse più ancora che da bambini, che si fonda la struttura di ciò che si diventerà da adulti.
Lei ha lavorato su riscritture di classici e allo stesso tempo su scritture originali e di stretta attualità, ed è anche poeta, critico, traduttore. Cosa lega i vari progetti? Quale è il senso, il valore che attribuisce al teatro e che la guida nell’eclettismo della sua scrittura?
Credo che il teatro oggi abbia il compito di offrire alla comunità un luogo di riflessione e di interrogazione collettiva. Non credo nel teatro come un museo che debba tenere in vita i classici (quelli stanno in piedi anche da soli). Al contrario, penso che in questa società che smantella progressivamente ogni forma di aggregazione collettiva, il teatro oggi più che mai ha il compito di offrire stimoli ai gruppi di persone, essere un luogo di discussione, di domande, ragionamenti, anche di contraddizioni, ma condivise. Quello che lega ogni mio progetto è un’esigenza civile, direi politica; ogni volta che inizio un lavoro mi chiedo: qual è l’utilità di questo lavoro, oggi, per tutti? È qualcosa che sta a cuore solo a me, o può essere qualcosa che può interpellare e stimolare il pubblico che verrà a vederlo?