- Data di pubblicazione
- 19/09/2017
- Ultima modifica
- 22/11/2017
A teatro nelle case con “Stranieri”
Il festival d’autunno delle Ariette è a Valsamoggia, dal 23 settembre al 22 ottobre
Tematiche di stringente attualità percorrono la ventunesima edizione di “A teatro nelle case”, il festival d’autunno diretto dal Teatro delle Ariette che dal 23 settembre al 22 ottobre accoglie la seconda parte del progetto “Territori da cucire”, dedicato quest’anno al tema dello straniero.
Chi è uno straniero? Chi è un locale? È una questione di luogo di nascita, di residenza o di nazionalità? Di lingua o di cultura? Di caratteristiche somatiche o di condizione (studente, turista, lavoratore)? Lo straniero ha diritti limitati rispetto al locale? È da queste domande, dalle riflessioni sull’identità, sulle radici e sulle migrazioni, che parte il programma del festival intitolato per l’appunto “Stranieri”, ospitato dal Teatro delle Ariette di Valsamoggia con la direzione artistica e organizzativa di Stefano Pasquini e Paola Berselli e realizzato con il contributo del Comune di Valsamoggia e della Regione Emilia-Romagna.
Spaziando dagli spettacoli teatrali al cinema e ai laboratori e mantenendo lo spirito di massima apertura, di inclusione e accoglienza che hanno contraddistinto la prima parte dell’edizione di Territori da cucire, anche in questa seconda parte tutti gli appuntamenti saranno gratuiti, a ingresso libero fino a esaurimento posti.
Il primo appuntamento, programmato per sabato 23 settembre alle 21, sarà con il Teatro delle Albe che presenterà “Rumore di acque” di Ermanna Montanari e Marco Martinelli (che ne cura anche la regia, con l’accompagnamento musicale, registrato, del fisarmonicista Guy Klucevsek). “Rumore” è uno spettacolo che, per raccontare i fatti contingenti, ovvero le storie di migranti clandestini annegati in mezzo al mare, destruttura i luoghi comuni e inserisce il tema in una chiave onirico-grottesca puntando sulla complessità, sulle sfumature, e sulle emozioni forti foriere di disagio interiore dello spettatore. Il racconto, un monologo, viene affidato ad un generale, interpretato da Alessandro Renda. Al servizio del Ministro degli Inferi in un’isola alla deriva tra Africa e Europa, il generale smista viaggi e anime da una sponda all’altra del Mediterraneo e la sua pratica di “accoglimento” consiste nel decifrare i numeri degli affogati. E proprio in questo consiste la potenza dello spettacolo: nel rinunciare ad una narrazione immediatamente struggente, che tocca e ferisce solo per un attimo per poi finire nel dimenticatoio, e calarsi invece direttamente in quei luoghi, tra barconi e loro frammenti di vita e di volti, di biografie concrete, tra spettri e qualche sopravvissuto, senza però ergersi a giudici della complessità umana, sempre in bilico tra le coscienze anestetizzate e il soverchiante, insostenibile senso di impotenza.
“Quel generale monologante è in realtà un “medium” – scrive il regista Martinelli – è attraversato da un popolo di voci e di volti che lo assediano, il popolo degli annegati, quello che neanche la sua indole burocratica riesce a ridurre a mera statistica. Sono gli scomparsi che si rendono presenti attraverso di lui: lui malgrado. Il generale è solo sulla sua isola sperduta nel Mediterraneo, ma è attorniato dai morti che non lo lasciano in pace, che lo tormentano, che gridano per essere “ricordati” non solo come numeri.
Che cos’è la cultura, che cos’è il teatro, da Sofocle a Brecht, se non un cerchio ideale in cui l’umanità riflette sulla violenza e sulle contraddizioni drammatiche che la lacerano?
Questo a mio avviso significa prendere sul serio le parole “cultura” e “teatro”, affrontando i nodi “capitali” della propria epoca. E tra questi la tragedia dei migranti e dei profughi: in relazione a questi “sacrifici umani”, a questa ecatombe senza fine, cosa può fare il nostro Vecchio Continente? L’Europa è davanti a una sfida che mette in gioco la sua stessa esistenza: deve dimostrare di essere all’altezza di questo momento storico, decisivo al fine di delineare la propria identità: un’Europa delle merci e dei burocrati, un’Europa impaurita in balia dei populismi arroganti, o un’Europa dei valori veri e della solidarietà come fondamento indispensabile di civiltà? Siamo innocenti noi? Sono innocente io? Di tutte quelle tragedie che avvengono altrove, lontano dalla mia ‘casetta’, posso ritenermi non responsabile? Che c’entro io con la morte di mio fratello? Quel generale acido e nevrotico, quel funzionario che ne ha le scatole piene di star lì a contare numeri e morti e metterli in fila, un lavoraccio, tutti i giorni così, pure mal pagato da quelli delle capitali, quel ragionierino demoniaco e sarcastico, quello spettatore impotente davanti ai telegiornali, quello, proprio quello, siamo tutti noi”.
Lunedì 25 settembre e lunedì 2 ottobre, alle 20.30, al Cinemax Bazzano sarà presentato il film di Stefano Massari e Stefano Pasquini, “Acqua salata”. Il titolo si riferisce all’acqua salata dell’omonima sorgente di Rio Marzatore, che si trova a cento metri di distanza da casa Ariette: è una sorgente di acqua fossile, una sacca di acqua marina rimasta imprigionata tra le cavità della roccia quando il mare, che migliaia di anni fa ricopriva queste terre, si è ritirato. Una potente analogia, visto che si tratta dello stesso mare che, come precisa Stefano Pasquini, “divide la tua terra dalla mia. Adesso quell’acqua risale alla superficie, attraverso le crepe della terra”. Il film nasce da un progetto di Paola Berselli e Stefano Pasquini, realizzato quest’anno con i cittadini del Comune di Valsamoggia e prodotto dal Teatro delle Ariette durante il percorso del progetto e la tournée di “Io, il couscous e Albert Camus”. È un film semplice e sincero, fatto di pensieri e testimonianze, che racconta, a zero budget, l’esperienza vissuta, i sentimenti che attraversavano quella girandola di incontri umani disarmanti, potenti, destabilizzanti e commoventi.
Sempre lunedì 25 settembre, alle 22, sarà proiettato un secondo film: “A seafish from Africa. Il mio amico Banda” del bolognese Giulio Filippo Giunti (che parteciperà alla serata). Il film è una produzione PopCult e Carta Bianca e racconta la storia di un immigrato ghanese di fede musulmana, il Banda del titolo, arrivato in Europa alla ricerca di una possibilità di sopravvivenza per sé e per la sua famiglia rimasta in Africa. In Italia Banda ha incontrato Giunti, che gli ha offerto un lavoro, è diventato suo amico e, affascinato dalla sua personalità, ha deciso di raccontare la sua storia in un film.
Sabato 30 settembre, alle 21, al Teatro delle Ariette è in programma un appuntamento realizzato in collaborazione con Alliance Française di Bologna. Si tratta del francese Théâtre de Chambre con “Un rendez-vous si loin” di Christophe Piret, anche in scena insieme a Marina Keltchewsky. Christophe viene dal Nord della Francia, Marina è di origine gitana russa. Entrambi sono combattuti tra l’attaccamento alle radici e la volontà di affrancarsi, tra l’amore per la cultura di provenienza e il bisogno di liberarsi da dolorose eredità che “le origini” portano con sé, un bisogno viscerale di libertà. Nello spettacolo non ci sono personaggi né finzioni: è un caleidoscopio di tasselli scaturiti da un incontro, un dialogo sul filo delle storie accompagnato dalla musica, un racconto di viaggi e del loro fascino, talvolta scorticato dell’attrito delle lingue e delle culture.
Una giornata intera – domenica 8 ottobre – sarà dedicata ai Cantieri meticci con i loro “Percorsi teatrali con migranti richiedenti asilo e rifugiati”. Si inizia alle 10.30 con i laboratori e due percorsi artistici: uno legato alla manualità e finalizzato alla creazione di oggetti scenici con le tecniche del collages, l’altro legato alla danza e alla costruzione di azioni sceniche collettive. I laboratori sono aperti a tutti (adulti e bambini) e tenuti da attori, danzatori e artisti di varia provenienza.
Nel pomeriggio invece, alle 15.30, va in scena uno spettacolo, prodotto sempre da Cantieri, che farà salire gli spettatori a bordo della “stessa barca” occupata da attori-rifugiati, con la possibilità di sperimentare dall’interno, gomito a gomito con chi ha vissuto, e non metaforicamente, esperienze di naufragi, le dinamiche che l’affondamento di un barcone e la lotta per la sopravvivenza possono generare. Lo spettacolo, ispirato al capolavoro “La fine del Titanic” di H. M. Enzensberger e intitolato “Il violino del Titanic (non c’è mai posto nelle scialuppe per tutti)”, è diretto da Pietro Floridia e vede in scena una compagnia composta da oltre 50 attori provenienti da Afghanistan, Belgio, Camerun, Cina, Costa d’Avorio, Ghana, Iran, Italia, Marocco, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Russia, Sierra Leone, Siria, Somalia.
Domenica 22 ottobre, alle 18, al Teatro delle Ariette arriverà una produzione Fuorivia (Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale), una rappresentazione teatrale di “Da questa parte del mare”, il libro autobiografico di Gianmaria Testa arrivato in libreria, postumo, in primavera di quest’anno. È il racconto delle storie, di uomini e di donne, che hanno contribuito a dar vita alle canzoni dell’omonimo album, e assieme un coacervo di pensieri, di riflessioni, umanissime, senza presunzioni di assolutezza, che raccoglie oltre vent’anni di vita che gira attorno ai flussi migratori, al movimento dei popoli di questi anni. Il libro è diventato spettacolo teatrale grazie a Giuseppe Cederna, che lo porta in scena dopo aver condiviso con Testa il palcoscenico e la visione del mondo. Giorgio Gallione, altro amico di Testa, ne cura la regia, traducendo in linguaggi, immagini e forme teatrali parole pensate per la pagina scritta (ma dense di sonorità e musica). “Da questa parte del mare” dunque è un “viaggio per storie e canzoni”, struggente ma non retorico, uno sguardo lucido e commosso sulle migrazioni umane, ma anche sulle radici e sul senso dell’umano.
Giovedì 28 settembre, alle 18, nella sede bolognese di Alliance Française, con cui il Teatro delle Ariette ha iniziato una collaborazione che proseguirà anche l’anno prossimo, si svolgerà l’incontro dal titolo “Un théâtre de voisinages”(Un teatro di vicinanze), condotto da Massimo Marino, con la partecipazione di Christophe Piret, direttore artistico, autore e regista del Théâtre de Chambre/232U. Piret incontrerà il pubblico bolognese per raccontare con parole e immagini la singolare esperienza della compagnia che dirige da trent’anni nel Nord della Francia instaurando uno stretto rapporto con il territorio, con i cittadini e gli artisti locali, e allo stesso tempo in continuo contatto con i cittadini e gli artisti dell’Europa e del mondo. È un teatro, il suo, radicato nell’ordinario, nelle problematiche contemporanee, negli interrogativi che attraversano e a volte scuotono il quotidiano; un teatro che interroga le storie individuali e collettive in cerca della poesia, dell’eroismo ordinario, della trascendenza dei gesti.
Il festival ospita anche una mostra fotografica in video proiezione: “Territori nelle piazze” di Giovanni Battista Parente, che da diversi anni segue il progetto ‘Territori da cucire’ raccontandolo attraverso le immagini.