- Data di pubblicazione
- 30/04/2025
- Ultima modifica
- 30/04/2025
Noi, un minestrone: il Teatro delle Ariette e la magia dell’ordinario
Il 3 e 4 maggio a Bologna
Un quadrato, due pentole, tavoli bassi e sedie tutt’attorno. Non è un set televisivo, né una cena in famiglia, ma la scenografia di Noi siamo un minestrone, l’ultimo spettacolo del Teatro delle Ariette, in scena al LabOratorio San Filippo Neri 3 e 4 maggio, nell’ambito della rassegna Generazioni a confronto.
Più che uno spettacolo un incontro, un’ora sospesa tra racconto e realtà, in cui si cucina davvero e si parla d’amore, di guerra, di felicità possibile. “Siamo un minestrone”, dicono Paola Berselli e Stefano Pasquini, fondatori e anime della compagnia. Una metafora semplice e potente: come le verdure che perdono la propria forma per diventare zuppa, così gli esseri umani si fondono nella relazione, nell’ascolto, nella presenza reciproca. Lo spettacolo si svolge in una scenografia essenziale e domestica: due pentole al centro e gli ingredienti disposti in cerchio, come in una danza contadina. I due attori – registi, cuochi, narratori – agiscono a pochi passi dagli spettatori. Le storie si intrecciano con i gesti del cucinare, in un continuo scambio tra parola e materia, tra metafora e realtà. Si parla del tempo che passa, dell’identità che muta, delle tracce che restano anche dopo che le parole sono scomparse. E mentre le carote si tagliano e l’acqua comincia a bollire, il pubblico si trova coinvolto in una dimensione intima e condivisa, quasi familiare.
Fondata nel 1996 tra le colline bolognesi, la compagnia Teatro delle Ariette ha costruito negli anni un linguaggio tutto suo: un teatro autobiografico, fatto di storie quotidiane, mani sporche di terra e cibo condiviso. Con oltre 2500 repliche in Italia e in Europa e più di trenta creazioni, Paola e Stefano hanno portato in scena la vita vissuta: la loro e quella di chi li circonda. Un teatro che non si guarda, ma si abita.
All’Oratorio, dunque, non c’è palco. C’è uno spazio che si apre come una casa: ci si siede vicini, ci si guarda negli occhi, si ascolta e si mangia insieme. E mentre le verdure borbottano sul fuoco, le parole si srotolano leggere, toccano la memoria, interrogano il presente. È il gesto quotidiano della cucina a diventare rito, metafora, trasformazione. Lo chiamano “teatro di terra”, quello delle Ariette, e il nome dice tutto: un teatro fatto con le mani, immerso nella natura, nelle stagioni, nel ritmo lento e irregolare della vita vera. “La nostra ricerca – scrivono – è un cammino attraverso l’umano, un lavoro continuo per aprire la porta che conduce nel teatro invisibile del cuore”. Non è solo poetica, è anche politica: in un tempo di fratture, guerre e urgenze, Noi siamo un minestrone invita a rallentare, a ricordare ciò che ci unisce, a ridare senso alla condivisione. E a scoprire che, in fondo, per essere felici basterebbe poco: un orto, una pentola e qualcuno con cui parlare mentre l’acqua bolle.