- Data di pubblicazione
- 18/12/2024
- Ultima modifica
- 18/12/2024
Voci dalla Storia. Il progetto sulla memoria di Agorà continua con Filippo Ceredi
Il 20 dicembre al Teatro Alice Zeppilli di Pieve di Cento
A distanza di ottant’anni alcune voci di uomini e donne deportati nei lager nazisti tornano a farsi sentire, reincarnate in scena in un lavoro teatrale di Filippo Michelangelo Ceredi. Succede il 20 dicembre al Teatro Alice Zeppilli di Pieve di Cento, nell’ambito della Stagione Agorà, dove andrà in scena il primo studio di esterno, dio / draussen, gott.
Ceredi, assieme a Giovanni Onorato, porta nello spazio del teatro una cornice installativa e performativa per provare a riascoltare insieme voci che arrivano dal passato. Il lavoro s’inscrive infatti in un progetto intitolato Voci dalla storia, ideato da Liberty, nato lo scorso anno dal ritrovamento di 33 audiocassette che contengono le testimonianze di cittadini italiani deportati come politici nei campi di concentramento nazisti. Le voci delle persone sopravvissute hanno il potere di incarnare quell’esperienza in modo unico e restituircela a distanza di 80 anni con una grande forza. In realtà tutto è partito nel 2019, quando l’Unione Reno Galliera ha organizzato una mostra dedicata ad Athos Minarelli, partigiano e deportato politico. Il figlio Aurelio ritrovò in quella occasione una lettera che la giovane psicologa Fiorella Claudia Rodella il 10 dicembre 1996 aveva spedito a un gruppo di prigionieri politici deportati nei campi di concentramento di Dachau, Mathausen, Auschwitz, Buchenwald. La studentessa li aveva intervistati per scrivere la sua tesi di laurea sugli effetti psicologici dell’esperienza della deportazione. Il ritrovamento della lettera aveva condotto alla riapertura di una valigia rimasta chiusa e custodita in un armadio per venticinque anni. Al suo interno, le audiocassette contenenti le registrazioni di quelle interviste.
Filippo Ceredi, artista che alcuni anni fa si è imposto all’attenzione del pubblico con un lavoro che aveva proprio a che fare con l’intreccio tra sfera personale e collettiva (s’intitolava “Between me and P.” e riguardava la storia della sparizione volontaria a ventidue anni di suo fratello Pietro), torna a confrontarsi con la questione della memoria e di come il teatro possa entrare in relazione ad essa. In questo studio valorizza le interviste alle persone deportate, materiale prezioso per il suo valore documentale e per la potenza emotiva delle testimonianze. Nello spazio si percepisce la presenza dell’oggetto materiale, del nastro magnetico che conserva – qualche volta chiaramente, altre volte con silenzi, spazi vuoti e disturbi sonori – una memoria storica a cui è importante dare voce, oggi più che mai. L’ascolto di queste testimonianze consente infatti di restituire a quelle persone la propria identità e unicità: ascoltiamo le parole di Ferdinando, Pierina, Celio. Ciascuno degli intervistati è identificabile, ha una storia che porta con sé, una personalità, un vissuto che lo distingue al di là dell’esperienza condivisa e disumana della deportazione.