“Panorama” dei Motus. L’identità senza confini tutto vede

All’Arena del Sole di Bologna, il 10 e l’11 maggio

08 maggio 2018

Panorama, il nuovo progetto dei Motus, la compagnia riminese affermatasi come una delle realtà più interessanti e coraggiose del teatro italiano, e non solo, arriva all’Arena del Sole di Bologna, giovedì 10 e venerdì 11 maggio alle 21.00. Lo spettacolo, una caleidoscopica biografia collettiva che innesca riflessioni sull’identità nomade, è ideato e diretto da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò e ha debuttato a New York all’inizio dell’anno, nell’ambito del Festival Under the Radar.

Panorama è una nuova tappa del percorso inaugurato da Motus con  MDLSX, performance di grande successo che indaga poeticamente i confini fisici e mentali e rivendica il diritto alla non appartenenza, la libertà di transitare da un genere all’altro. Ora questi temi vengono affrontati da una prospettiva diversa, oltre i confini del corpo per allargarsi a quelli geografici, del colore della pelle, della nazionalità imposta, della territorialità forzata, dell’appartenenza a una Patria. Attraverso un’unica caleidoscopica biografia collettiva, composta da frammenti di esistenza degli attori e delle attrici della Great Jones Repertory Company – il gruppo interetnico di performer residenti a La MaMa, il mitico teatro dell’East Village newyorkese fondato da Ellen Stewart – lo spettacolo affronta il tema dell’identità nomade, della sua condizione esistenziale fra sradicamento dal passato e rinascita verso nuove forme, e sviluppa una riflessione aperta sulla necessità umana, e umano diritto, di essere in movimento, in divenire, di viaggiare, di conoscere, di smantellare confini, anche artistici, per estendere al massimo il proprio campo “visivo” e le sue potenzialità, da qui il nome Panorama: dal greco παν/ tutto e oραω/ vedere.

Le attrici e gli attori del cast – Maura Nguyen Donohue, Richard Ebihara, John Gutierrez, Valois Mickens, Eugene The Poogene, ZishanUgurlu – hanno tutti alle spalle esperienze diasporiche legate alle proprie scelte artistiche: con loro e attraverso di loro le linee di indagine si diramano da New York verso la Corea del Sud, verso la Repubblica Domenicana, in Cina, nel Vietnam e nella controversa Turchia, completando il quadro narrativo con la popolazione afroamericana. A partire da queste esperienze biografiche, Motus – con il supporto del drammaturgo Erik Ehn – delinea nuovi panorami esistenziali, dove il nomadismo diventa una proprietà intrinseca dell’esistere e dell’essere attore/attrice, declinando in forma artistica la proposta di una identità post-nazionalista liberata da gabbie classificatorie.

In Panorama questa urgenza politica – e umana tout court – ha un formato narrativo “post-documentario”, all’interno del quale viene indagata una società frantumata dal “trumpismo” come quella dell’America, paese/mondo che incarna e amplifica tutte le contraddizioni del capitalismo avanzato, ma anche una società sminuzzata dalla xenofobia come quella della Fortezza Europa. La tessitura drammaturgica poggia su 22 lunghe interviste (40 domande alla volta) fatte a tutti i membri della Great Jones Repertory company un anno fa, nel maggio del 2017, seguite da dialoghi e approfondimenti con i sei attori che animano la scena/set. La composizione scenica passa dalla freddezza dell’intervista/audition iniziale alla scoperta dei più intimi retroscena e dei sorprendenti accadimenti individuali, mescolando storie e identità e smantellando ogni frontalità e barriera fra dentro e fuori, presente e passato, fiction e meta-fiction, reale e irreale.

Nella presentazione dello spettacolo, Motus dirama questa nota: “I am the others (Io sono gli altri) potrebbe essere il sottotitolo di Panorama, perché verte sulla comunione di sentimenti nati principalmente dallo sradicamento, ma anche dall’indignazione per società definitesi democratiche e che restano profondamente ineguali e razziste al loro interno. Il nostro sguardo da europei inizialmente in sorvolo è stato come calamitato, risucchiato dalla potenza dei legami affettivi nati con gli attori e questo ci ha permesso allora di vivere il tempo della produzione come spazio di sperimentazione e condivisione umana. È stato un innamoramento attraversato da sano furore e tanta bellezza. Una “panoramica” di tanti mondi/culture diverse e spesso contrapposte: del resto proprio il lavoro teatrale per sua stessa natura inclusiva e “migrante” è spazio vero di accoglienza e libertà. Il palcoscenico è crogiuolo di possibilità e trasformazioni continue, potente metafora per re-impostare i contesti sociali ferrei con cui spesso ci scontriamo e mettere a dura prova ogni tentativo di fissare irrevocabilmente persone, nazionalità, generi, professioni in categorie gerarchiche e immutabili. È una diaspora furiosa”.

La scenografia porta la firma di Seung Ho Jeong, gli allestimenti quella di Damiano Bagl. Il progetto visivo è di Bosul Kim, il video design di Culture Hub NYC con Sangmin Chae, il light design di Daniela Nicolò, il sound design di Enrico Casagrande. Le musiche sono di Heather Paauwe. Lo spettacolo, in lingua inglese, è sovratitolato in italiano.

La produzione è di La MaMa Experimental Theatre Club e di Motus, in coproduzione con Seoul Institute of the Arts, Culture Hub, New York, Vooruit, Ghent, FOG Triennale Milano PerformingArts, Milano, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Grec Festival, Barcellona, L’arboreto – Teatro Dimora, Mondaino e con il sostegno del MiBACT e della Regione Emilia-Romagna.