La chimica della materia in un Macbetto firmato Albe, Masque e Menoventi

Il 14 settembre il debutto assoluto dello spettacolo diretto da Roberto Magnani

12 settembre 2018

Il 14 settembre alle 21, sotto l’egida dell’esperienza selvaggia a cui il Festival Crisalide invita il pubblico nella sua venticinquesima edizione, al Teatro Felix Guattari di Forlì, va in scena in prima assoluta Macbetto o la chimica della materia, per la regia di Roberto Magnani, tratto dalla celebre riscrittura del dramma shakespeariano firmata da Giovanni Testori. Lo spettacolo è frutto di un’inedita collaborazione, anche produttiva, tra tre storiche formazioni romagnole, il Teatro delle Albe, Masque Teatro e Menoventi/e-production.  “Un atto liberativo – prefigura il regista citando lo stesso Testori – in cui la liberazione, avvenendo per la via direttissima del dialetto, ha qui la sgradevolezza e l’insostenibilità d’una vera e propria emorragia; se non già d’un vomito”.

Attore storico del Teatro delle Albe, proprio nel laboratorio ravennate in cui da anni si portano avanti esperimenti sulla dimensione materica della lingua, Magnani ha avviato un proprio percorso sul dialetto come lingua di scena, diversa e lontana da quella del quotidiano, dove il segreto essere che la prosa non può consegnare, affiora attraverso una lingua in cui le parole coincidono alle cose per stratificazione, per affezione non addomesticata, come in quello che Ermanna Montanari definisce ‘dialetto di ferro’. Dopo essere passato attraverso Odiséa di Tonino Guerra ed E’bal di Nevio Spadoni, in cui consegnava l’intero significato della partitura all’oggetto sonoro, l’artista approda ora a un autore che per la scrittura del “Macbetto” ha attinto più da Verdi che da Shakespeare, capace di inventare una lingua poetica intrisa di musicalità, che si fa canto, e dunque avvicina l’indicibile.

Un indicibile che non è inteso come metafisica, ma fisica alle sue estreme conseguenze, viscere, corpo, ricercato attraverso un teatro considerato come biologia, come un farsi e disfarsi senza temere di guardare nelle proprie impurità e lordure, come scienza che studia gli esseri viventi nella loro sussistenza mondana, includendo, implicando nel corpo anche la dimensione spirituale e morale, la dimensione metafisica cui pure si tende, e dove tutto si risolve, o meglio si pone come problema, nell’ambito del corpo; dove sessualità, dolore, potere si implicano e determinano a vicenda, all’interno di una logica chimica, di chimica della materia, per citare il sottotitolo dello spettacolo. Così, a un continuo sporcarsi, imbevuto di liquidi corporali, feci, sangue, sperma, urina, fa da contraltare una tensione verticale, a cui si aggrappa lo stesso Macbet, quando cerca di dialogare con chi gli ha dato vita, lo scrittore “creatore di me e di questa lingua porcellenta e falsatoria”.

Dei personaggi del testo originale restano nello spettacolo solo Macbet, Ledi Macbet e la Strega, a cui vengono ridistribuite anche parti del coro: tre figure imbrigliate un ciclico movimento di generazione vicendevole, tratteggiato dalla partitura musicale di Simone Marzocchi, in cui maschile e femminile sono in processo di continua mutazione e scambio. Così Macbet (Magnani) tramite parto defecatorio, genera la Strega, interpretata da Eleonora Sedioli di Masque Teatro, che anticipa di essersi ispirata alle indagini di Michel Leiris a proposito degli sciamani siberiani, per dare vita a una strega che è simulacro, immagine trasposta di una figura che crea il trapasso tra la quotidianità e la pura trance. Per la sua Ledi, a sua volta indissolubilmente legata alla strega, Consuelo Battiston di Menoventi rivela di essere partita dalla dimensione sonora del verso, alla cui dilatazione deve essere di sostegno tutto il resto, e di essersi ispirata alle pose delle donne nei giornali di moda dell’epoca fascista. “Lavorando per dissonanza – dichiara – ho cercato di raccordarle con movenze aspre e grevi”.