- Data di pubblicazione
- 27/11/2019
- Ultima modifica
- 27/11/2019
Soli, spaesati e beffardi. Il presente secondo Calamaro
Al Teatro Comunale di Ferrara dal 28 novembre al 1° dicembre
Non ci sono cornici storiche in bella vista, né dichiarazioni di impegno civile o fatti di politica urgente e di attualità televisiva o giornalistica, nei mondi creati da Lucia Calamaro. Abbondano gli interni, semmai, popolati da famiglie, coppie, donne e uomini soli alle prese con vicende del tutto personali. Ed è proprio attraverso figure straordinariamente malinconiche e riflessive, che camminano non dentro, ma accanto alla vita, tragicamente e ironicamente, che la drammaturga italiana, tra le più applaudite in Italia e in Francia, riesce a raccontare il sentimento forse nodale del XXI secolo: lo spaesamento.
Lo suggerisce appieno il titolo della sua ultima fatica Si nota all’imbrunire. Solitudine da paese spopolato, coprodotto dalla Cardellino con il Napoli Teatro Festival e il Teatro Stabile dell’Umbria in scena a Ferrara per Stagione di Prosa 2019/2020 del Teatro Comunale dal 28 novembre al 1 dicembre. Protagonista un attore noto e amato del teatro ma soprattutto del cinema italiano: Silvio Orlando, volto indimenticabile di innumerevoli film d’autore tra cui “Il Portaborse” e “La Scuola” di Daniele Lucchetti e “Il Caimano” di Nanni Moretti.
È lui l’uomo solo, perennemente in pantofole, appartato in una casa di campagna all’inizio di un villaggio spopolato, dove vive da tre anni in preda a un buon numero di idiosincrasie e fissazioni. Giunti a casa sua per organizzare la messa dei dieci anni dalla morte della mamma, i figli Alice, Riccardo e Maria, e il fratello maggiore Roberto (dai nomi reali degli attori Alice Redini, Riccardo Goretti, Maria Laura Rondanini e Roberto Nobile) dovranno fare i conti con il fatto che quest’uomo, tra le varie manie, ne ha sviluppato una piuttosto grave: non vuole più camminare, vuole stare seduto il più possibile e da solo. Una metafora, come spesso avviene nel teatro della Calamaro, dello stato mentale del protagonista, che rifiuta di aderire con solerzia ai dettami della vita concreta e si perde dietro i rivoli dei suoi pensieri, i quali però, quasi sempre, diventano ossessioni. Tra tentativi di smuoverlo e rivendicazioni, il weekend di famiglia si trasforma in una resa dei conti, non tanto tra padri e figli quanto, piuttosto, tra la realtà e i desideri, grazie a una scrittura che cavalca poco il pathos e molto l’acutezza ironica, un registro in cui Orlando, come pure gli altri straordinari attori, si muove a suo perfetto agio. “La morte e il lutto ricorrono nelle drammaturgie di Lucia Calamaro – scrive infatti lo studioso Gerardo Guccini – tuttavia l’ironia, ancor più del lamento oppure dell’autoanalisi, caratterizza le sue voci bizzose e refrattarie a seppellirsi in un sentimento, in una riflessione, in un’espressività a senso unico. Sono, queste sue voci, continuamente consapevoli del fatto che la vita transitoria d’ogni momento è un rigoglioso e beffardo antidoto alla tragicità dei destini, che pure la inglobano (senza però domarla)”.