Ink. Il lato dark del desiderio secondo Dimitris Papaioannou

Il 26 e 27 settembre al Festival Aperto

23 settembre 2020

Se la scena europea contemporanea può vantare un regista visionario apprezzato trasversalmente nel mondo della danza, delle arti visive e del teatro, questo è certamente Dimitris Papaioannou. Arrivato al grande pubblico grazie alla direzione delle cerimonie di apertura e chiusura dei giochi Olimpici di Atene del 2004 ispirate rispettivamente ad Apollo e a Dioniso, nel corso della sua carriera il coreografo greco ha presentato i suoi lavori in spazi molto diversi, dai teatri underground della capitale al Teatro antico di Epidauro, fino all’approdo ai grandi festival e palcoscenici internazionali. In Italia la sua fama circola da molti anni, mentre sporadiche (e sempre clamorose) sono state fino ad ora le occasioni di vedere i suoi spettacoli.

Se già preziosa era stata l’opportunità di assistere a una rilettura del Sisifo grazie a un progetto site specfic commissionato lo scorso anno dal Festival Aperto di Reggio Emilia e creato appositamente per la Collezione Maramotti, è davvero imperdibile l’occasione imminente – data da una eccellente collaborazione tra Aperto e Torinodanza – di assistere alla sua nuova creazione in scena al Teatro Valli di Reggio Emilia il 26 e 27 settembre. Lo spettacolo, preludio di un’opera più grande il cui debutto è previsto a dicembre ad Atene, s’intitola INK, e vede il coreografo e danzatore in scena assieme al giovane collaboratore e performer Šuka Horn, classe 1997, con cui Papaioannou ha avuto l’occasione di lavorare nel particolare periodo del lockdown.

La vicinanza tra i due artisti ha permesso loro di dare vita a un incontro/scontro tra due personalità diverse e spinte dal desiderio, che in scena creano una lotta tra padre e figlio, vecchio e nuovo, paternità ed eredità. Elemento fondamentale della creazione è l’acqua, che allaga la scena spingendo le due figure ad agire in un mondo fantastico e decisamente dark. Corpi che si fondono alla materia, simboli, archetipi, miti e potenza della metafora sono d’altronde le caratteristiche evidenti della poetica e dell’estetica del coreografo che scava nell’animo umano cavalcando la sua visionarietà e mescolando danza, scultura, pittura, performance.

“Avevo pensato di creare un’installazione con alcuni interventi performativi e alla fine ho realizzato uno spettacolo, che è nato da un profondo e personale flusso emotivo, creando uno stato emozionale molto diverso dai miei lavori precedenti» racconta Papaioannou. «Io cerco di capire la vita e di materializzare sul palcoscenico il mio sentire e le mie domande sulla vita e allora incontro gli archètipi. E quando inciampi sugli archètipi, incontri il Mito. Perché questo è ciò che i Miti fanno, visualizzano e raccontano temi universali”.