Adolescenti a tempo indeterminato. Dei figli di Mario Perrotta

Il 25 gennaio al Teatro Galli di Rimini e il 16 febbraio a Mirandola

24 gennaio 2023

In casa sembrano viverci in quattro, e sembrano tutti adulti, ma la situazione è ben più complicata, perché attraverso tre monitor giganti nella vita degli abitanti escono ed entrano continuamente altre persone, per un totale di ben tredici personaggi i cui intrecci raccontano la difficoltà di diventare adulti. Racconta appunto questo, Dei figli di Mario Perrotta, di una generazione di giovani tra i 18 e 45 anni che non intendono dimettersi dal ruolo di figli. Lo spettacolo, ultimo della trilogia In nome del padre, della madre, dei figli, è stato di recente premiato agli Ubu come miglior novità drammaturgica della stagione. Lo si vedrà in scena il 25 gennaio alle 21 al Teatro Amintore Galli di Rimini e il 16 febbraio all’Auditorium Rita Levi Montalcini di Mirandola.

Come gli altri due lavori della trilogia, Dei figli è scritto con la consulenza di Massimo Recalcati, che ai temi della famiglia ha dedicato molti studi e pubblicazioni. “Una delle grandi mutazioni antropologiche del nostro tempo – spiega lo psicanalista – riguarda la cronicizzazione dell’adolescenza. Se prima la giovinezza era legata alla pubertà e si concludeva con la fine dell’adolescenza, oggi l’adolescenza non è più il riflesso psicologico della “tempesta” psicosessuale della pubertà bensì una condizione di vita perpetua che tende a cronicizzarsi. Quando questo accade in primo piano è la difficoltà del figlio di accettare la separazione dai genitori per riconoscersi e viversi come adulto. L’adolescenza perpetua impedisce infatti al figlio di divenire uomo assumendo le conseguenze dei propri atti anziché colpevolizzare il mondo degli adulti identificandosi nel ruolo della vittima tanto innocente quanto inconsolabile”.

Lo spettacolo di Perrotta, in scena assieme a Luigi Bignone, Dalila Cozzolino, Matteo Ippolito e (tra video e audio) Arturo Cirillo, Alessandro Mor, Marta Pizzigallo, Paola Roscioli, Maria Grazia Solano, Saverio La Ruina e Marica Nicolai, indaga queste e altre sfumature dell’essere figlio, ambientando la vicenda in una casa che assomiglia a un limbo. “Un purgatorio – spiega il regista e drammaturgo – per chiunque vi passi ad abitare. Vite in transito che sostano il tempo necessario – un giorno o anche una vita – pagano un affitto irrisorio e in nero e questo li lascia liberi di scegliere quanto stare, quando andare. Solo uno sosta lì da sempre: Gaetano, il titolare dell’affitto. Al momento, le vite in casa sono quattro. Tutti gli ambienti vengono mostrati come se i muri fossero trasparenti. La casa è fluida, come le vite che vi abitano. Le uniche certezze sono tre monitor di design, bianchi, come enormi smartphone. Su ognuno di essi stanziano, incombenti, le famiglie di origine degli abitanti: genitori, sorelle, cugini. Tredici personaggi per un intreccio amaramente comico, un avvitamento senza fine di esistenze a rischio, imbrigliate come sono nel riflettere su sé stesse”.