- Data di pubblicazione
- 20/04/2022
- Ultima modifica
- 20/04/2022
Dal lutto alla metamorfosi. “Tutto brucia” di Motus
Il 21 aprile al Teatro Rasi di Ravenna
Quali vite contano? La questione, già rovente fino a pochi mesi fa, tra migrazioni e diaspore, si carica di un senso ulteriore a poche settimane dallo scoppio della guerra in Ucraina. Questo nostro mondo in fiamme, in cui perfino la morte, per essere ritenuta degna d’interesse, richiede passaporti e visti, è al centro dell’ultimo spettacolo di Motus intitolato appunto Tutto brucia, in scena al Teatro Rasi di Ravenna il 21 aprile alle 21, nell’ambito della rassegna ToDay ToDance.
Dopo aver riletto Antigone, Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande sono tornati al tragico con un’opera come Le troiane di Euripide, ambientata in un momento post – ovvero dopo una guerra, dopo la distruzione di un mondo. Ma in questa riscrittura, com’è nella pratica usuale di Motus, ci sono echi di J.-P. Sartre, Judith Butler, Ernesto De Martino, Edoardo Viveiros de Castro, NoViolet Bulawayo e Donna Haraway. Sono tutti autori e autrici che ragionano sul presente, sulle evoluzioni storiche e antropologiche, su punti di vista altri rispetto a quelli eurocentrici e antropocentrici. La vicenda delle Troiane, fatte schiave dai greci dopo la caduta della loro città, si incista così nell’attualità, portando con sé la forza morale, la dignità che nel testo euripideo caratterizza le figure femminili. Tutto brucia guarda infatti alle Troiane intercettando le voci delle nuove schiave di oggi e scava nel tema del lutto come trasformazione.
“Porto il lutto per i figli morti in guerra Per le donne fatte schiave Per la libertà perduta Oh amate creature, tornate, venite, venite a prenderci!” sussurra l’attrice totem di Motus, Silvia Calderoni/Ecuba intrecciando queste parole alle musiche e lyrics di R.Y.F. (Francesca Morello), mentre Stefania Tansini squarcia l’aria con un pesante coltello e un falcetto contadino, come nei riti collettivi di cordoglio scomparsi del sud Europa. Il corpo rotto di Ecuba, la parola profetica di Cassandra, che vede oltre la fine, il grido spettrale di Polissena, l’invocazione ai morti di Andromaca, le violenze subite da Elena e infine il corpo più fragile e inerme, quello del bambino, Astianatte, danno voce ai soggetti più esposti e vulnerabili.
“Ripartiamo dunque dalle figure della tragedia – dicono Daniela Nicolò e Enrico Casagrande – o meglio dalla dimensione scenica delle Troiane, che è essenzialmente un momento post: dopo la fine di una guerra, dopo la distruzione di un mondo, dopo un disastro umano e ambientale che tanto evoca situazioni tristemente attuali. Mai come adesso il lutto ci appare come una questione politica. Quali vite contano? Cosa rende una vita degna di lutto? È attraverso il dolore che le protagoniste nella scena tragica si trasformano materialmente – divengono altro da sé: cagna, pietra o acqua che scorre, elaborando la violenza subita. Una metamorfosi che apre verso altre possibili forme. E scrive il mondo che verrà. Perché la fine del mondo non è che la fine di un mondo”.