Di Grazia, ovvero la (dis)grazia di nascere donna. Intervista Roberta Lidia De Stefano

Dal 13 al 25 febbraio all’Arena del Sole di Bologna

15 febbraio 2024

Che destino può avere l’unica figlia femmina di una famiglia patriarcale, in un contesto rurale, alla morte del padre che la trova nubile, senza una dote e senza una casa? Comincia da qui la storia di Rosetta, protagonista di Di Grazia (la voix du patron), uno spettacolo co-prodotto da ERT/Teatro Nazionale che si vedrà in scena in prima nazionale all’Arena del Sole di Bologna, dal 13 al 25 febbraio, nell’ambito del Focus che ERT in questa stagione dedica al tema del lavoro. A firmare ideazione, regia e drammaturgia dello spettacolo sono il coreografo francese Alexandre Roccoli e l’attrice e performer Roberta Lidia De Stefano, già Menzione d’onore del Premio Duse 2022 e Premio Mariangela Melato 2023, e già molto applaudita anche a Bologna per per la sua interpretazione in Kassandra. Sarà lei a vestire i panni della protagonista in quella che è una sorta di “operetta rurale” per la quale i due registi attingono al loro comune immaginario, che li riporta ai rispettivi luoghi d’origine, immersi in grandi tradizioni e contraddizioni, governate da una cultura del potere declinata al maschile.

Rimasta sola e senza mezzi, Rosetta si ritroverà costretta a continuare il suo lavoro da bracciante, sotto un altro padrone e senza alcuna possibilità di ribellarsi. Incentrata sull’abuso di potere e sugli stati post-traumatici, la performance è infatti l’esito di una ricerca che affonda le sue radici in un Sud antico e rurale con un recupero etnomusicologico dei canti popolari del Sud Italia, legati ai movimenti e ai gesti di lavoro. “Questo è il destino delle lavoratrici (italiane e straniere) – scrivono De Stefano e Roccoli – che raccolgono i nostri pomodori, le nostre arance, le nostre fragole nelle terre bagnate dal Mediterraneo: la mattina, sul furgone, il caporale mette caffè e brioche vicino al volante. – Come si può leggere in Oro rosso della giornalista e fotografa Stefania Prandi – Se ti siedi davanti e non li prendi, ma ti compri la colazione da sola, significa che rifiuti la sua offerta. Chi prende la colazione invece, accetta di andare con lui, se rifiuti di fare sesso, il giorno dopo lui ti lascia a casa”. Il silenzio in cambio del posto di lavoro, insomma. “Di Grazia (la voix du patron) – proseguono i due registi – è una catartica epurazione di emozioni, una tragedia nel suo senso primario. Nell’opera tutto concorre a restituire dignità e quindi Voce, a un capro espiatorio, a una prigioniera della sua Persona (maschera). Il milieu di disgregazione socio-familiare sommato alla sua condizione, la vorrebbe “sgraziata” per sua colpa. Ma il fatto di essere una diversa, una révoltée, non è legato solo all’essere ultima tra gli ultimi, ma anche alla di(s)grazia di essere nata donna in un mondo ancora oggi, troppo a misura d’uomo”.

Per approfondire i temi dello spettacolo, nell’intreccio tra donne-lavoro-potere e violenza, il 25 febbraio dopo lo spettacolo ci sarà un dialogo proprio tra Stefania Prandi e Roberta Lidia De Stefano, nell’ambito di CONFINI, settima edizione del festival della rete delle biblioteche specializzate di Bologna.
Durante l’incontro sarà anche presentato il laboratorio “Fuori dal canone: Wikipedia per il femminile” gestito da ERT con l’associazione Wikidonne. Il progetto nasce dalla volontà di aumentare la diversità all’interno dell’enciclopedia collaborativa, inserendo pagine dedicate ad artiste italiane non ancora presenti su Wikipedia. In collaborazione con Biblioteca delle donne Bologna.

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Intervista a Roberta Lidia De Stefano