Luci e ombre nella vita di Santa Rita da Cascia. Intervista a Antonio Moresco

“Il buio” in scena dal 5 al 17 marzo al Teatro delle Moline di Bologna

04 marzo 2024

S’intitola Il buio, l’ultimo progetto teatrale di Antonio Moresco, ma non parla di assenza, perché il buio evocato dallo scrittore e drammaturgo mantovano, tra i più radicali e potenti del panorama editoriale contemporaneo, è pieno di visioni, una discesa nella coscienza dalla quale emergono immagini, incubi, proiezioni dell’anima. Lo spettacolo, che andrà in scena in prima assoluta al Teatro delle Moline di Bologna dal 5 al 17 marzo, è un racconto non agiografico della vita della religiosa umbra Santa Rita da Cascia. Una vicenda fiabesca e dolorosa, interpretata dall’attrice Alessandra Dell’Atti (che di Moresco ha già interpretato a teatro due testi, Magnificat e Canto degli alberi), in cui l’autore – qui per la prima volta anche regista – immagina il ritorno della Santa nel presente, in dialogo con la sua voce (interpretata da lui stesso). A questa voce, tra le ombre di cui è artefice l’artista Rita Deiola, Rita rivela di aver ucciso i suoi figli per impedire loro di vendicare l’assassinio del padre. Ne emerge il ritratto di una santa ambigua, figura eterea e carnale, santa appunto, ma anche assassina. E ancora una volta Moresco racconta l’indissolubile legame che c’è tra bene e male, santità e follia, e la capacità di riconoscere la luce e la violenza in sé come unica strategia per fare i conti con la complessità mondo. Il testo dello spettacolo sarà pubblicato per la collana Linea in un volume intitolato Sacra follia, che comprende anche un’altra opera di Moresco (Passione e morte di un burattino) e che sarà presentato il 6 marzo. In occasione del debutto abbiamo rivolto alcune domande all’autore.

 

I personaggi principali della sua opera – assieme alla Santa, l’unica che vedremo in carne e ossa – sono luce, buio, ombre, voci. In quale dimensione (reale o astratta) si realizza il dialogo tra queste entità?
Certe volte, per oltrepassare lo specchio delle apparenze, per rompere lo specchio, bisogna passare attraverso le materie prime del mondo: la luce, il buio, le ombre… che non sono meno reali di ciò che abbiamo stabilito essere “la realtà”, ma che anzi rendono manifeste le realtà più profonde e segrete, che ci portano vicino all’indicibile.

Non è la prima volta che si confronta con il tema della santità e della sua ambigua “schizofrenia”. Il suo debutto come drammaturgo, nel 2001, è stato proprio con un dramma intitolato La santa, interpretato da Federica Fracassi. Cosa la colpisce della dimensione del sacro e in che modo secondo lei può dirci qualcosa del presente?
È vero, non è la prima volta, si potrebbe dire che sono tornato sul luogo del delitto. E allora si vede che c’è qualcosa che mi attira in queste figure di sante, che c’è in loro qualcosa che me le fa sentire vicine e sorelle. Forse è l’invenzione, l’invenzione della vita. Al di là delle loro convinzioni religiose, che sono diverse dalle mie, c’è nel loro coraggio e nel loro estremismo qualcosa che mi attrae e mi commuove. Che me le fa sentire vicine al mio modo di vivere la mia esperienza di scrittore e di essere umano, al mio massimalismo, alla mia fede senza oggetto, ma non per questo meno forte. La mia esperienza di scrittore lungamente carsico e rifiutato mi ha predisposto ad amare queste figure nello stesso tempo combattenti e oranti. Sono figure da cui – al di là delle singole convinzioni di ognuno – bisognerebbe prendere forza nel difficile momento che stiamo vivendo, come singoli e come specie.
 
Ha definito il suo gruppo di lavoro, formato da Stefano Mazzanti per il disegno luci, Guido Affini per il progetto sonoro e l’aiuto regista Cristina Accardi, “una piccola banda elettiva”. Com’è stata la sua prima esperienza da regista?
Questa esperienza è nata da una serie di conoscenze, di combinazioni dinamiche e di elezioni. Alessandra Dell’Atti è un’attrice intransigente che aveva già scelto di mettere in scena un mio dramma prenatale al Teatro della Tosse di Genova. Rita Deiola è la persona che mi ha introdotto al mondo delle ombre, di cui è esperta per avere studiato quel teatro in Indonesia e a Giava, cosa che mi ha permesso di mettere in scena una cosa talmente enorme da risultare indicibile in qualsiasi altra forma. Cristina Accardi è la mia compagna, che mi conosce nel profondo, umanamente e artisticamente, e che mi sta dando un grande aiuto registico, sostenendomi, oltre a tutto il resto, anche a ridurre il peso dei miei disadattamenti e della mia timidezza. Stefano Mazzanti che, come Guido Affini, aveva già lavorato con Alessandra Dell’Atti è la persona perfetta per disegnare le luci che, in questo dramma estremo, non sono solo illuminazione delle cose che appaiono ma la materia stessa del loro apparire. Guido Affini, perché ha una grande sensibilità sui suoni del mondo, e quindi sul silenzio del mondo. Perché il fatto di lavorare per sottrazione non diminuisce le cose, le forme, i suoni, le luci ma li rende ancora più concentrati e irradianti.