Performing Resistance. Dialoghi online su arti, migrazioni e città inclusive

Dal 16 al 20 giugno nell’ambito di Atlas of Transitions Biennale 2020

27 maggio 2020

Si ragionerà su come le arti performative possano costruire spazi di resistenza, narrazioni alternative, processi collettivi di riappropriazione e immaginazione dello spazio pubblico, nel corso delle cinque giornate di dialoghi, incontri e seminari online con studiosi, curatori e artisti internazionali organizzate dal 16 al 20 giugno nell’ambito di Atlas of Transitions Biennale 2020.

“Se i nostri corpi sono stati frenati dal lockdown e dall’incertezza che tiene in scacco il campo del possibile, disinnescati dal confinamento coatto, intorpiditi dalla colpevolizzazione individualizzata, una tonalità emotiva fondamentale caratterizza questi giorni: è un desiderio dei corpi, uno stato affettivo che non investe soltanto i corpi umani ma ogni corpo, animale, vegetale, minerale, qualsivoglia porzione di materia. È un voler essere irrimediabilmente un corpo – tra – corpi. In relazione”. A parlare è Piersandra Di Matteo, curatrice artistica di Atlas of Transitions Biennale, un festival unico in Italia, interamente dedicato alle migrazioni e realizzato a Bologna nell’ambito di un progetto internazionale finanziato da Creative Europe, promosso da ERT Fondazione con Cantieri Meticci, il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna, e un nutrito gruppo di partner europei.

Nelle prime due edizioni il festival ci ha fatto incontrato performer, coreografe e cantanti provenienti da ogni parte del mondo, dall’Africa centrale all’Estonia, dalla Siria a Cuba. Con loro abbiamo esplorato la nozione di città e di casa, riflettuto sul confine tra arte e attivismo, immaginato nuove forme di convivenza urbana e di riflessione condivisa sui cambiamenti in atto, sempre in una atmosfera di grande festosità che ha contagiato persone e spazi di Bologna. Con un presente così carico di questioni cogenti non avrebbe avuto senso rimandare la terza edizione ad autunno, perciò le azioni di Atlas non verranno posticipate ma ripensate, proprio per rispondere in qualche modo al desiderio di relazione che ci attraversa. “Si tratta – spiega ancora Di Matteo – di pensare ed esercitare le arti performative come l’avamposto per un allenamento corporeo, affettivo, collettivo alla collettività, capace di reinvestire lo spazio pubblico, il diritto alla città, lo spazio domestico tenendo conto delle nuove condizioni per smarginarle attraverso altre alleanze, parentele non normative, posture corporee intensificate dalle differenze, contro ogni feticizzazione del migrante”.

Così, riconfigurando un progetto immaginato prima dello scoppio della pandemia, è nata la Summer School Performing Resistance. Dialogues on Arts, Migrations, Inclusive Cities, curata da Piersandra Di Matteo, Pietro Floridia, Melissa Moralli e Pierluigi Musarò, una serie di appuntamenti in streaming sui canali Facebook e su Youtube del festival, gratuiti e aperti a tutti. Ogni giorno si svolgeranno online due lezioni in inglese, più una organizzata da uno dei partner internazionali di Atlas in una lingua europea (tra gli ospiti la ricercatrice dell’Università di Lille, Sophie Djigo, l’autrice Camille Louis, lo studioso albanese Hektor Ciftja, la regista e performer francese Léa Drouet, il drammaturgo siriano Mohammad Al Attar e la regista polacca Weronika Szczawińska).

Protagonisti delle lezioni in inglese sono studiose e studiosi come Lilie Chiuliaraki, docente alla London School of Economics and Political Sciences che parlerà dei processi di rappresentazione simbolica delle vittime nell’attuale pandemia, e come Nikos Papastergiadis, direttore del Research Unit in Public Cultures dell’Università di Melbourne che propone una riflessione sugli scenari post-pandemici dell’arte pubblica. Il sociologo e politologo italo-belga Marco Martiniello, direttore del Center for Ethnic and Migration Studies dell’Università di Liège, rivolgerà invece la sua attenzione alla generazione “post-razziale”, mentre il teorico politico e attivista Sandro Mezzadra dell’Università di Bologna e il filosofo statunitense Michael Hardt della Duke University discuteranno dell’esperienza di Mediterranea #Saving Humans di cui sono entrambi promotori. La lezione della giornalista finlandese-nigeriana Minna Salami ruoterà attorno alla nozione da lei coniata di “Afropolitanismo” e alla necessità di attivare una “conoscenza sensibile” e femminista capace di inaugurare approcci decoloniali e antirazzisti, mentre Daniel Blanga Gubbay, co-direttore del Kunstenfestivaldesarts, parlerà di educazione, conoscenza e trasmissione dei saperi nei contesti artistici. Si prosegue con Federica Mazzara, studiosa dell’Università di Westminster, che parlerà di strategie artistiche che sovvertono la narrazione stereotipata dei migranti, e con la socio-antropologa finlandese, Karina Horsti, docente all’Università di Jyväskylä, che proporrà una riflessione critica su come istituzioni e operatori culturali, artisti e attivisti possano rendere visibili i confini invisibili. A partire dalla nozione di “ribelle” formulata da Saidiya Hartman, il dramaturg and lecturer afro-americano Tunde Adefioye rifletterà infine sugli spazi occupati dalla gente di colore con i propri archivi in Europa, suggerendo l’urgenza di una fondazione drammaturgica nera, capace di osservare chi occupa le città europee, chi è autorizzato a farlo o ne è escluso. Moderati da esperti italiani e stranieri, gli incontri verteranno insomma tutti attorno al rapporto tra arti, migrazioni e cittadinanze, attraverso voci originali portatrici di questioni urgenti e radicali che difficilmente trovano spazio in altri contesti di riflessione e di azione collettiva.