- Data di pubblicazione
- 03/01/2025
- Ultima modifica
- 11/01/2025
In scena a Bologna la trilogia di Leonardo Lidi dedicata a Čechov
Dal 9 al 12 gennaio all’Arena del Sole
Nei drammi di Anton Čechov il presente non esiste. Gli esseri umani vivono in una condizione di inguaribile nostalgia, per il futuro ma più spesso per un passato in cui è idealmente collocata una felicità ormai perdura e irrecuperabile. “A Mosca! A Mosca!” dicono le tre sorelle dell’omonimo testo, sognando di tornare a vivere nella città della propria infanzia. E ancora più iconico è quel giardino dei ciliegi attorno al quale si svolgono le vite di Ljuba e della sua famiglia: aristocratici in rovina che pur di non radere al suolo quel giardino pieno di bellezza e di ricordi, pur di non cedere alla speculazione edilizia della borghesia in ascesa incarnata da Lopachin (che vorrebbe farne terreno lottizzato su cui costruire villini per villeggianti) perderanno tutto. Lo scrittore russo, tra i massimi innovatori della drammaturgia a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, ha raccontato in modo straordinario un passaggio epocale della storia Russa e non solo, inventando forme nuove, capaci di mettere in scena qualcosa di impalpabile: la trama dei sentimenti.
Autore tra i più amati del Novecento, e tra i più rappresentati, Čechov – da grande classico qual è – non smette di interrogare la contempoareneità. Di recente gli ha dedicato una imponente trilogia il regista Leonardo Lidi, che ha scelto, come lui stesso ha spiegato “di consegnare tre testi straordinari al pubblico attraverso la forza di insieme e saper dunque cogliere l’amore che Čechov dedicava alla figura dell’attore nelle sue dinamiche di scrittura”. La trilogia è realizzata infatti con la stessa compagnia “per sottolineare l’importanza e il talento delle attrici e degli attori italiani, classificati nei pensieri politici in zona retrocessione ma vera pietra preziosa del teatro italiano”.
Il progetto, che ha ricevuto il Premio Ubu 2024 per i Migliori Costumi ad Aurora Damanti, arriva all’Arena del Sole di Bologna dal 9 al 12 gennaio, e vede in scena Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Alfonso De Vreese, Ilaria Falini, Sara Gedeone, Christian La Rosa, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Orietta Notari, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna e Sara Gedeone.
Dal 9 al 12 gennaio andrà in scena Il giardino dei ciliegi terza e ultima tappa della Trilogia, che si potrà invece vedere interamente in una maratona teatrale sabato 11 gennaio: a partire dalle 14.30 fino alle 21.00 (orario di inizio dell’ultimo spettacolo) andranno in scena i tre episodi dell’intero progetto cechoviano: Il Gabbiano (coproduzione ERT), Zio Vanja e Il giardino dei ciliegi, con delle pause di un’ora tra l’uno e l’altro.
Per la prima tappa del percorso Lidi mette in scena appunto Il gabbiano, pièce scritta nel 1895 in cui – secondo Lidi – “l’autore sembra creare un testo che possa interrogarsi sulla differenza tra Simbolismo e Realismo, sul senso critico del teatro rispetto al suo pubblico ma alla fine – contro ogni pronostico – arriva la vita. In scena ecco apparire l’amore e l’assenza di esso e ci ritroviamo accompagnati da personaggi talmente ben scritti e messi così bene in relazione tra di loro che tutti insieme decidiamo di deviare la trappola del tema per aprirci e interrogarci sulla semplicità del nostro essere. Sui ricordi e la nostalgia dell’infanzia, su quell’incontro che ci ha fatto male e quell’incontro che ci ha cambiato la vita. O fatto sorridere. O fatto piangere. Come in un patto. Come se un gruppo di uomini e di donne lavorasse assieme con impegno e gioia confidando nell’arrivo della vita in scena. Ecco forse spiegato il perché Čechov ha superato il suo tempo, ecco come utilizzare un testo per arrivare alla vita”.
La seconda tappa vede la messa in scena di Zio Vanja, opera scritta due anni dopo nel 1897: nella tenuta in cui Vanja trascorre la sua placida esistenza, è sufficiente l’arrivo del professor Serebrjakov, accompagnato della giovane moglie Elena, a distruggere ogni equilibrio, tra amori infelici e vite mai pienamente vissute. “Fatto sparire sotto un lenzuolo bianco l’astrattismo dalle assi del nostro palcoscenico – scrive il regista – ci concentriamo sulla storia della nostra strana società/famiglia e sul suo stato di ininfluenza. Tutti i personaggi sbattono la testa nella sensazione di vivere in una stagione che ha perso la forza d’impatto, che non crede più nella sua natura e che genera dunque una confusa e pericolosa genericità. Un teatro che non crede più in sé stesso è un teatro ininfluente, un luogo che, nascondendosi nei fasti del passato, uccide la possibilità del presente. Vanja: ‘sono cinquant’anni che parliamo, parliamo, leggiamo opuscoli. È ora di piantarla… fino all’anno scorso anche io come te mi riempivo la testa con tutti questi sofismi, per non guardare in faccia la vita vera, e credevo di fare bene. Adesso, se tu sapessi!! Passo intere notti a rodermi dalla rabbia per aver buttato così stupidamente il mio tempo’.
Chiude il cerchio Il giardino dei ciliegi, opera scritta tra il 1902 e il 1903, racconto del declino dell’aristocrazia terriera e dell’inafferrabile passare del tempo. “Un testo che presenta a tratti monologhi – continua il regista – più concettuali e smaccatamente filosofici rispetto ai precedenti, ma che continua a sballottarci da un personaggio all’altro, spostando la ‘ragione’ su più punti e facendoci letteralmente girare la testa. (…) Termineremo il viaggio confusi, pieni di domande e con pochissime risposte. Ecco, forse, cosa vuol dire drammaturgia. Ecco perché Čechov, sopravvissuto al tempo, dovrebbe essere il maestro di riferimento del teatro del domani: un simpatico individuo che prendendosi un po’ in giro immette generosamente una riflessione nell’altro”.