Con The City di Crimp Jacopo Gassmann porta in scena l’alienazione della metropoli

Dal 14 al 17 marzo all’Arena del Sole di Bologna

12 marzo 2024

Sono poche le figure registiche italiane che amano confrontarsi con la drammaturgia contemporanea straniera, ma quei pochi e quelle poche sanno spesso regalare al pubblico spettacoli molto intensi e punti di vista sorprendenti sul linguaggio della scena. Tra questi c’è sicuramente Jacopo Gassmann, appassionato frequentatore e spesso traduttore di scritture al presente, del mondo anglosassone (d’altronde si è formato come regista tra New York e Londra) ma non solo. Dopo avere portato sui nostri palcoscenici opere tra gli altri di Juan Mayorga, Chris Thorpe, Ayad Akhtar e Arne Lygre, Gassmann si misura ora con Martin Crimp, autore protagonista del panorama drammaturgico del nostro tempo, i cui testi sono stati rappresentati in tutta Europa, compresa l’Italia, dove artisti sperimentatori come Fabrizio Arcuri ne hanno esplorato la complessa e dirompente lingua realizzando spettacoli spartiacque per la nostra scena di ricerca. Di Crimp, Gassmann allestisce per la prima volta in italiano (nella prestigiosa traduzione di Alessandra Serra) The City, un testo scritto nel 2008 che venne allestito al Royal Court Theatre di Londra, il tempio della nuova drammaturgia inglese. Come ha dichiarato lo stesso Crimp, la scrittura di The City gli è stata suggerita da L’uomo flessibile, libro in cui il sociologo e scrittore statunitense Richard Sennett racconta le difficoltà della classe media, colpita dal dramma della disoccupazione. Dopo il debutto a LAC Lugano Arte e Cultura, lo spettacolo – coprodotto da ERT Teatro Nazionale – arriva in scena al Teatro Arena del Sole di Bologna dal 14 al 17 marzo.

Un cast di grandi interpreti che comprende Lucrezia Guidone (nel ruolo di Clair), Christian La Rosa (Christopher), Olga Rossi (Jenny) e la giovanissima Lea Lucioli (ragazzina), al suo debutto sul palcoscenico, dà vita a una storia ambientata in quello che potrebbe apparire come un normale interno borghese, che si apre su una crisi di coppia di cui sono protagonisti Chris, impiegato di una grande società informatica che ha saputo che la sua ditta si appresta a una “riorganizzazione” del personale, e sua moglie Clair, traduttrice che ha appena avuto un incontro fortuito e ambiguo con un noto scrittore, che le ha rivelato di aver subito delle torture. La tensione tra marito e moglie è evidente. Impercettibilmente, quadro dopo quadro, il loro rapporto comincia a mostrare le prime crepe: i confini tra realismo e finzione vengono meno, i personaggi sembrano quasi scomparire nei loro dialoghi.

“Influenzato da Beckett, Pinter e Mamet, il teatro di Crimp – spiega Gassmann – è caratterizzato da un’inquietudine e una crudeltà di fondo, spesso stemperate da una vena grottesca e surreale. […] The City ci parla di un mondo dove si può essere licenziati di punto in bianco e in cui le guerre, apparentemente lontane, possono irrompere improvvisamente tra noi, dentro di noi, come degli incubi in pieno giorno. […]. L’ho trovato particolarmente intrigante – dichiara il regista – perché gioca a un finto naturalismo: il testo, tutto sommato, ha un suo intreccio narrativo, ma all’interno della vicenda ci sono molteplici fratture, si trovano gli stilemi tipici di Crimp. È interessante perché è un Crimp più ‘soft’, più morbido, che consente di seguire una storia. Si tratta di una vicenda affascinante che, come nei grandi testi, è composta da più livelli. Da una parte abbiamo il rapporto di una coppia che sta vivendo una crisi; noi viviamo questa sorta di sgretolamento, di sfarinamento del loro rapporto mano a mano che il testo procede. Allo stesso tempo, però, seguiamo la vicenda di una traduttrice che cerca di essere anche una scrittrice; se vogliamo, tutto il testo può essere letto come una serie di tentativi da parte della protagonista, Clair, di scrivere delle bozze. […] Si dipana come un enigma, un mistero. Il titolo, The City, evoca tutti quei non luoghi delle metropoli contemporanee: fin dall’inizio vengono citati due grandi non luoghi della contemporaneità, una stazione e un’azienda che sta riorganizzando il personale, luoghi che sembrano essere stati costruiti per alienarci dai noi stessi. La ‘Città’, inoltre, è una grande metafora di una città interiore della protagonista”.

Nella scena, disegnata assieme ai costumi da Gregorio Zurla, in effetti non ci sono porte né finestre, solo una sequenza di ambienti identici, dove oggetti e situazioni si moltiplicano, separati da bianche pareti in grado di dissolversi, andando in trasparenza. Personaggi e oggetti appaiono come appunti su di un foglio. A firmare le luci è invece Gianni Staropoli mentre Zeno Gabaglio cura il disegno sonoro, Sarah Silvagni i movimenti scenici, Simone Pizzi i video.