- Data di pubblicazione
- 25/01/2022
- Ultima modifica
- 26/01/2022
Balasso fa Ruzante. Viaggio nel Cinquecento tra tragico e farsa
Dal 27 al 30 gennaio a Bologna, il 16 febbraio a Mirandola e il 17 a Scandiano
“Questo titolo è un inganno! È Ruzante che fa Balasso!” Parola di Marta Dalla Via che dirige il nuovo spettacolo di Natalino Balasso, una riscrittura sorprendente dell’opera di Angelo Beolco, detto il Ruzante, drammaturgo e scrittore veneto del Cinquecento. In scena all’Arena del Sole dal 27 al 30 gennaio e poi il 16 febbraio all’Auditorium Rita Levi Montalcini – di Mirandola e il 17 febbraio al Teatro Boiardo di Scandiano, lo spettacolo, coprodotto da ERT Fondazione, s’intitola appunto Balasso fa Ruzante e racconta, da sottotitolo, “amori disperati in tempo di guerre”. Il testo è frutto di una raffinata ricerca linguistica portata avanti da Balasso con Andrea Collavino e Marta Cortellazzo Wiel, mentre da parte sua Dalla Via, grande conoscitrice di tutti i registri in campo, coordina i toni e fonde con sapienza comico e drammatico.
Ne viene fuori una serata in cui tragico e farsa s’incontrano attraverso scelte lessicali che sono – spiega la regista – “scelte politiche e polemiche”. Balasso ha intrecciato testi tratti dall’opera di Ruzante, dando vita a un gergo assai vicino all’originale ma capace di parlare al presente: “un neo-dialetto obliquo, abbondante e spassoso, che rende concrete tre figure toccanti: l’amico rivale Menato, Gnua donna sottoposta eppure dominante e lo stesso Ruzante. Un uomo contemporaneamente furbo e credulone, pavido eppure capace di uccidere, un eroe comico dentro il quale scorre qualcosa di primitivo che lo rende immortale.”
Attraverso un lavoro umoristico si cerca quindi di demistificare la città, il potere, la falsa idea di benessere alle quali i villani, in un periodo in cui la peste va e viene, hanno sacrificato tutto. “Dove pensavamo di trovare un paesaggio confortante e bucolico – scrive ancora Marta Dalla Via – troviamo crudeltà e oppressione. Così, cercando “l’allegrezza” siamo arrivati in cima all’albero della cuccagna per scoprire che i prosciutti e le altre vivande sono di plastica. Credo che Angelo Beolco, con il suo alter ego e le sue opere, volesse dimostrare che un altro modo di fare arte/cultura era possibile e provava a fare azioni sceniche anti-sistema anche quando era accolto da quel sistema. In questo credo che la vicinanza con la poetica e la visione di Natalino Balasso sia evidente”.