- Data di pubblicazione
- 25/03/2019
- Ultima modifica
- 03/04/2019
Giovani talenti & giovani sguardi. Se la musica è in fiore: conversazione con il Trio Kanon
Intervista ai protagonisti del primo concerto di Talenti - Bologna Festival. 26 marzo all’Oratorio di San Filippo Neri
Giovani talenti & giovani sguardi è una nuova rubrica del nostro portale, inaugurata dalla collaborazione con Chorus, il blog del Conservatorio “G. B. Martini”. Sostenuto dall’istituto, è un progetto di scrittura giornalistica guidato da Massimo Marino e Roberto Neri cui partecipano studenti di tutti gli indirizzi, tradizionale, jazz, elettronico.
Quale migliore occasione della rassegna Talenti di Bologna Festival per iniziare questa avventura in cui giovani studiosi e critici in formazione, con grande competenza e passione, intervistano artisti loro coetanei? Quattro appuntamenti cameristici disseminati nei prossimi tre mesi, cui si aggiunge, in novembre, il concerto del vincitore del “Premio del pubblico”. Protagonista del primo concerto – martedì 26 marzo alle ore 20.30, presso l’Oratorio di San Filippo Neri – è il Trio Kanon, formato da Lena Yokoyama (violino), Alessandro Copia (violoncello) e Diego Maccagnola (pianoforte), giovanissimi interpreti con già una esperienza brillante alle spalle e un futuro dinnanzi che si prospetta non da meno. A intervistare il Trio Kanon è Diego Tripodi, diploma accademico di secondo livello in pianoforte, studente di composizione del Conservatorio “G. B. Martini” e tra gli autori di Chorus.
Battezzare un nuovo progetto e trovargli un nome è sempre abbastanza delicato. Per voi è stato difficile? Volete svelarci l’origine e i rimandi del nome “Kanon”?
Era l’estate del 2012, suonavamo in trio da pochi mesi e avevamo sottomano la domanda di iscrizione ai corsi del Trio di Parma presso l’International Chamber Music Academy di Duino, scuola fondata dal Trio di Trieste nel 1989. Nel bando era obbligatorio indicare un nome per la formazione e non avevamo idee convincenti. Poi Lena ha pensato al termine “Kanon”, che in giapponese è l’unione di due ideogrammi: “Ka”, fiore e “On”, musica, quindi letteralmente “musica fiorente”. Ci piaceva il suono della parola e in più c’era il riferimento al canone come genere musicale, ci sembrava un nome perfetto!
Spesso l’inizio dello studio di uno strumento è legato a degli aneddoti particolari. Voi ne avete? Come siete arrivati alla musica?
Diego: I miei genitori non sono musicisti ma la musica ha sempre fatto da sottofondo alla mia infanzia, dato che veniva praticata da cari amici di famiglia vicini di casa. Ho iniziato a suonare a nove anni. In un primo momento pensavo al flauto traverso, forse perché mio cugino suonava già il pianoforte e non volevo praticare lo stesso strumento; poi mia madre ha insistito affinché suonassi anch’io il pianoforte ed è stata una buona scelta! Alla fine mio cugino è diventato un bravo direttore e io ho continuato la carriera di strumentista.
Lena: Ho cominciato a studiare seriamente il violino a sette anni. Sono cresciuta in una famiglia di violinisti e suonare uno strumento è stata una scelta del tutto naturale, all’inizio un vero e proprio gioco (quando avevo tre anni mia madre mi mise in mano un minuscolo violino con cui mi divertivo moltissimo).
Alessandro: Quando ancora non sapevo camminare, mio padre, pianista, suonava in un trio con flauto e violoncello e io, gattonando, mi arrampicavo sul divano per assistere alle loro prove. All’età di cinque anni, assecondando il mio interesse, i miei genitori mi hanno portato in una scuola di musica (il Suzuki Talent Center di Torino) e quando si è trattato di scegliere tra violino e violoncello, fu mio padre a spingermi verso quest’ultimo.
Lena e Alessandro avete alle spalle studi presso l’Accademia Stauffer di Cremona, mentre Diego presso L’Accademia di Santa Cecilia. Che ricordo avete della vita da studenti?
Alessandro: Ci siamo rincorsi a lungo, nel senso che ho conosciuto Diego a Roma nel corso di Musica da Camera dell’Accademia di Santa Cecilia, nel 2007. Rocco Filippini, allora insegnante all’Accademia, ci assegnò il Quartetto di Schumann e il Trio op. 70 n. 2 di Beethoven. Ci ricordiamo la spensieratezza e l’innocenza (al limite dell’incoscienza) con cui affrontavamo il grande repertorio in quegli anni di studio. Poi le nostre strade si sono divise, fino praticamente al 2012.
Diego: Nel frattempo ho cominciato a suonare in duo con Lena, a Cremona: Lena era in Italia da pochi mesi e cercava un pianista con cui studiare del repertorio da camera. Non parlava in italiano, ma nonostante la comunicazione linguistica fosse limitata, l’intesa musicale è stata invece subito spontanea.
Lena: Io invece ho conosciuto Alessandro studiando nell’Accademia Walter Stauffer di Cremona, nel 2012. Lui frequentava la classe di Rocco Filippini, io ero allieva di Salvatore Accardo. L’idea di suonare tutti e tre in trio venne proprio dopo un concerto degli allievi dei Corsi di Alto Perfezionamento al Teatro Ponchielli, durante il quale entrambi ci eravamo esibiti.
Nel vostro percorso di perfezionamento avete approfondito lo studio con il Trio di Parma e Alexander Lonquich. Ci sono degli insegnamenti che avete appreso da ciascuno e di cui, più di altri, fate tesoro?
Il percorso di studio con il Trio di Parma è stato fondamentale per la nostra formazione. Ognuno di loro ha saputo far emergere le nostre caratteristiche individuali, ci ha permesso di crescere tecnicamente e allo stesso tempo ci ha fornito gli strumenti per trovare un’identità come gruppo, attraverso la ricerca di un suono personale e di una visione comune su ogni partitura. La loro impronta su di noi è stata veramente profonda, a tal punto che li consideriamo dei mentori, più che dei maestri. Un’altra tappa fondamentale del nostro percorso è stato l’incontro con Alexander Lonquich, nei corsi estivi dell’Accademia Chigiana. Lonquich è un artista incredibile e sue lezioni sono state una miniera inesauribile di spunti culturali, artistici e musicali.
In generale, come scegliete il repertorio? Il programma proposto per Bologna è ambizioso, con due capisaldi della letteratura cameristica come il Trio degli spettri beethoveniano e il Trio in la minore di Ravel, affiancati al Secondo Trio in un movimento di Kagel. C’è un fil rouge che collega i tre brani o è piuttosto al contrasto che è affidato il criterio del programma?
Siamo fortunati perché il repertorio per trio è molto vasto ed è costellato di capolavori in ogni epoca storica. Fino ad ora ci siamo orientati seguendo il nostro entusiasmo e il desiderio di completare lo studio dei trii dei compositori che più amiamo, in particolare Brahms, Beethoven, Schubert e Dvorak. Nel caso specifico, cerchiamo di trovare un equilibro in ogni programma che proponiamo, offrendo al pubblico un concerto che sia come un viaggio attraverso questo splendido repertorio, un percorso in cui risalti soprattutto la varietà dell’espressione musicale. Il programma di Bologna affianca tre autori completamente differenti, ma i rimandi tra le loro opere non mancano. Se pensiamo alla desolazione del secondo movimento del Trio degli Spettri beethoveniano (il “Largo assai con espressione” che ha dato il nome e ha reso celebre il brano) ritroviamo la stessa atmosfera alienante in molti passaggi del lavoro di Kagel, scritto in concomitanza degli eventi dell’11 settembre 2001. Il meraviglioso Trio di Ravel, che chiude il programma, rappresenta la summa artistica di uno dei più grandi compositori del ‘900 ed è un lavoro altrettanto innovativo, per il trattamento “estremo” con cui spinge i tre strumenti al limite delle loro possibilità dinamiche e timbriche.
A proposito di Kagel. Quanto è nelle vostre corde il ‘900 e, soprattutto, la scrittura contemporanea (Diego Maccagnola, ad esempio, si è diplomato con una interprete di ferro del repertorio come Maria Grazia Bellocchio)?
Studiare musica contemporanea ci piace molto, anche se è parecchio faticoso, perché costringe a confrontarsi ogni volta con problemi di scrittura nuovi e perché si ha raramente la possibilità di replicare uno stesso brano in occasioni diverse. È entusiasmante, però, lavorare insieme ai compositori su opere inedite, così come impaginare un programma alternando opere nuove con brani di repertorio, che vengono così posti sotto una luce differente e meno scontata. L’esperienza di Diego sul repertorio del ‘900 è stata importante in questo senso e, come trio, ci è capitato sovente di lavorare con Maria Grazia Bellocchio su alcuni brani particolarmente ostici: è stato per noi utilissimo contare sull’aiuto di una musicista generosa e competente come lei.
Una delle ingenuità molto diffuse fra i più è quella di non considerare che, dietro una esecuzione, c’è sempre una fatica incredibile non solo di studio, ma anche di logistica delle prove e di organizzazione. Sbirciamo un po’ “dietro le quinte”: come è organizzato il vostro studio?
Diego e Lena abitano a Cremona, mentre Alessandro è di Torino. Possiamo dire di essere degli assidui frequentatori dell’Autostrada A 21! Cerchiamo di vederci almeno una volta a settimana, di più nei periodi di maggiore attività, generalmente una volta a Cremona e una a Torino. Quante volte abbiamo immaginato di poter installare un pianoforte in un Autogrill all’altezza di Tortona, più o meno a metà strada, per provare lì, a un’ora di macchina dalle rispettive abitazioni!
L’obiettivo di molte formazioni – ma in generale anche di tanti solisti – è riuscire a formare un “suono” peculiare e identitario. Voi credete sia velleitario e che, piuttosto, sia la musica che di volta in volta si ha davanti a suggerire il risultato o che invece sia assolutamente perseguibile?
Indubbiamente ogni periodo storico richiede un certo tipo di approccio stilistico, che significa negli archi un diverso uso dell’arco e del vibrato, nel pianoforte una tecnica che privilegi di volta in volta una maggiore o minore articolazione o un differente apporto del peso e del legato. Però studiando e lavorando insieme si sviluppa la capacità di assecondarsi molto rapidamente, si affina un gusto comune e col tempo, crediamo, si trova un proprio suono. Naturalmente c’è stato un grande lavoro per ottenere un’ottimale compatibilità tra i due strumenti ad arco: Lena ha cambiato il suo violino nel 2015 e utilizza ora uno strumento di liuteria cremonese dal suono più caldo, che ben si adatta al violoncello di Alessandro.
Così giovani avete già tante soddisfazioni, dalla intensa attività concertistica in vari continenti ai numerosi riconoscimenti in prestigiose competizioni, fino alle prime belle incisioni discografiche. Avete qualche messaggio per le legioni di studenti che si dedicano alla musica?
L’unico messaggio che ci sentiamo di lanciare ai giovani è di credere in se stessi e perseverare. Purtroppo viviamo in un momento storico e in un paese che non dà molto spazio alla musica classica, non investe a sufficienza in iniziative che supportino un giovane che vuole studiare uno strumento. In questa situazione già complicata, la musica da camera rappresenta una piccola nicchia, mentre abbiamo ben constatato, studiando all’estero, che in Francia, Germania o in Olanda le opportunità per i giovani trii o quartetti come noi sono molto maggiori.
Per conquistarsi un piccolo spazio quindi non basta il talento o la passione, bisogna avere la tenacia di non arrendersi davanti alle inevitabili piccole o grandi delusioni che fanno parte di questo percorso e andare avanti, cercando di ascoltare i grandi maestri e al tempo stesso sforzandosi di sviluppare un proprio senso critico, perché siamo sempre i migliori giudici di noi stessi.