Migrazioni, dialettica, metamorfosi. Lino Guanciale rilegge Brecht

Dal 6 all’11 ottobre all’Arena del Sole di Bologna

30 settembre 2020

Che Bertolt Brecht fosse uno dei riferimenti intellettuali di Lino Guanciale era già noto, non solo perché con l’autore e drammaturgo tedesco il Guanciale attore si era confrontato direttamente in occasione dell’allestimento dell’Arturo Ui firmato da Claudio Longhi nel 2013, ma perché ispirazioni brechtiane si ritrovano in tutto il suo percorso di artista-intellettuale. Dopo il debutto alla regia con Nozze di Elias Canetti, è ancora una volta ERT Fondazione a produrre e ospitare in prima assoluta la messa in scena di uno spettacolo che lo vede protagonista di una riflessione sul presente politico ispirata dalla rilettura di un autore classico della modernità. Dalla ricca produzione di Brecht, Guanciale ha scelto Dialoghi di profughi del 1940, un testo che il drammaturgo ha scritto negli anni dell’esilio in Nord Europa, anni fertili per la sua scrittura che ha toccato vette straordinarie con opere come Madre Coraggio, Vita di Galileo e La resistibile ascesa di Arturo Ui: tutti testi in cui emerge con chiarezza la lotta contro le forze disumane della Storia.

Nato in forma di reading per Rai Radio 3, Dialoghi di profughi andrà in scena dal 6 all’11 ottobre all’Arena del Sole (da martedì a venerdì alle 21, sabato alle 20, domenica alle 16), come evento inaugurale della stagione del teatro bolognese di ERT. La lettura di Guanciale è accompagnata da una partitura di musiche, a cura della violinista Renata Lackó, scelte dal repertorio classico della musica colta europea e da quello più brechtiano, ma anche dalle sonorità della tradizione Yiddish, a significare il complesso paesaggio culturale dell’incontro fra i due personaggi. Protagonisti del dialogo evocato dal titolo sono infatti le voci di due figure lontanissime, uno scienziato e un operaio, “Quello alto” e “Quello basso” dice ironicamente il testo, in ogni caso due uomini che di fronte alla storia e alla condizione dell’esilio non possono che ritrovarsi vicini, accomunati da una condizione che d’un colpo lascia in secondo piano il conflitto sociale.

Le due figure s’incontrano la prima volta in una stazione, simbolo della sorte erratica di entrambi, e ingaggiano un confronto sul rapporto tra l’uomo e il proprio passaporto. Un confronto che andrà avanti per tutto il resto dell’opera dando vita a un esempio brillante di dialettica, proprio com’era nelle intenzioni di Brecht secondo il quale “l’emigrazione è la miglior scuola di dialettica. I profughi sono dialettici più perspicaci. Sono profughi in seguito a dei cambiamenti, e il loro unico oggetto di studio è il cambiamento. Essi sono in grado di dedurre i grandi eventi dai minimi accenni, […] e hanno occhi acutissimi per le contraddizioni. Viva la dialettica!”

“I due profughi – spiega Guanciale – così diversi, così lontani in condizioni storiche “normali”, si avvicinano finalmente liberi da differenze di classe e discriminanti razziste di ogni genere, dialogano radicalmente e cambiano, crescono, nel momento della sospensione assoluta delle loro esistenze precedenti, nel momento in cui quasi tutto è perso a parte la volontà, o necessità, di costruire germi comunitari attraverso il linguaggio. Questo fa del testo un luogo in cui di fatto il teatro viene praticato come strumento di rigenerazione, come spazio di mutamento e maturazione attraverso l’incontro, come luogo dell’amplificazione decisiva del potere rivoluzionario dell’ascolto. Fattori che ne rendono non tanto l’attualità al tempo dell’attuale pandemia, quanto la forza strategica e l’autorevolezza. Il teatro non come eredità o ispirazione, non come nostalgia. Ma come valore d’uso. Per tutti”.