- Data di pubblicazione
- 05/03/2018
- Ultima modifica
- 05/03/2018
“Il nome della rosa”. Il romanzo di Eco in teatro, tra allegorie medioevali e giallo metafisico
A Ferrara dall’8 all’11 marzo, a Bologna dal 13 al 18 marzo
Lo spettacolo, in scena al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara dall’8 all’11 marzo, e poi all’Arena del Sole di Bologna dal 13 al 18 marzo, è la prima versione teatrale del romanzo di Umberto Eco. Firmata da Stefano Massini, che ne ha fatto un testo drammaturgico dotato di una sua autonoma potenza, e rafforzata dall’adattamento di Leo Muscato, che in veste di regista dirige anche il cast, ricco di grandi interpreti, la pièce si presenta come un vero e proprio kolossal teatrale che sfida la versione cinematografica del 1986 (diretta da Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery nel ruolo del principale protagonista) rimasta impressa nel nostro immaginario di spettatori.
Per Muscato, deciso a fare tabula rasa di ogni immaginario precostituito dagli illustri predecessori, è una sfida appassionante. “Dietro ad un racconto avvincente e trascinante – dice il regista – il romanzo di Eco nasconde una storia dagli infiniti livelli di lettura; un incrocio di segni dove ognuno ne nasconde un altro. La struttura stessa del romanzo è di forte matrice teatrale… Se è vero che al centro dell’opera vi è la feroce lotta fra chi si crede in possesso della verità e agisce con tutti i mezzi per difenderla, e chi al contrario concepisce la verità come la libera conquista dell’intelletto umano, è altrettanto vero che non è la fede a essere messa in discussione, ma due modi di viverla differenti. Uno guarda all’esterno, l’altro all’interno; uno è serioso, l’altro fortemente ironico”.
Il nome della rosa, best seller internazionale tradotto in 47 lingue, vincitore del Premio Strega e inserito da “Le Monde” nella classifica dei cento libri del 20° secolo, a distanza di quasi quarant’anni dalla prima pubblicazione continua ad essere un vero e proprio fenomeno letterario. Definito dall’autore un “giallo filosofico-metafisico”, il romanzo è un pastiche di generi letterari che spaziano dall’erudito romanzo storico al popolare poliziesco sino alla contemplazione mistica e alle discussioni teologiche, al trascendentale e alle atmosfere gotico-fantastiche; ma la grande protagonista del racconto è sempre la parola, orale e scritta, con il suo potere salvifico o distruttivo. Ambientato in un’abbazia benedettina dell’Italia settentrionale del XIV secolo all’epoca dei maggiori contrasti tra Papato e Impero, il nodo tematico del romanzo è focalizzato sui conflitti della conoscenza, in bilico tra aspirazioni illuministe e posizioni oscurantiste. Infatti, dietro ad una sequenza di efferati omicidi che sconvolgono la vita dell’abbazia – e costituiscono, assieme alla ricerca del colpevole, la trama principale del libro – si cela la volontà reazionaria di nascondere al mondo il ritrovamento di un libro di Aristotele dedicato alla commedia, e dunque al potenziale sovversivo del riso.
In questa versione teatrale, anche i singoli personaggi, ciascuno portatore di una visione del mondo, sono fortemente caratterizzati (e in questo sostenuti anche dai costumi di Silvia Aymonimo). Guglielmo da Baskerville, il saggio, curioso e irriverente francescano, investigatore illuminato, socratico amante del dialogo che guida la cruenta formazione del novizio diciottenne Adso da Melk, è interpretato da Luca Lazzareschi. Il personaggio di Adso è sdoppiato: siccome a raccontare l’intera vicenda è proprio lui, ma quando ha già ottant’anni, la duplicità viene risolta attraverso la scelta di una compresenza della voce narrante – di Luigi Diberti – che ricorda i fatti accaduti sessant’anni prima, e del giovane Adso, interpretato da Giovanni Anzaldo, che sulla scena materializza i ricordi dell’anziano monaco. Eugenio Allegri invece raddoppia la sua interpretazione: veste sia i panni del mefistofelico inquisitore Bernardo Gui che quelli, diversissimi, del francescano Ubertino da Casale. Jorge da Burgos, l’apocalittico e reazionario monaco cieco, è interpretato da Bob Marchese. Nel ruolo di Salvatore, l’indimenticabile e spassoso frate poliglotta accusato di eresia, troviamo Alfonso Postiglione.
Caratteristiche da kolossal presenta anche l’impegno produttivo – che vede insieme tre Teatri Stabili: di Torino, di Genova e del Veneto – e le grandiose scenografie curate da Margherita Palli, con un’impalcatura goticheggiante che incornicia il palcoscenico e con il supporto di un dedalo di scale crea dei soppalchi dislocati a diversi piani di altezza per rendere la molteplice topografia del monastero. A completare l’affresco polifonico dell’abbazia ci sono oggetti fortemente evocativi dei luoghi, come le pergamene e i codici miniati per la biblioteca, i rosoni per la cappella, i teschi per l’ossario, persino una colata di fiamme digitali per l’incendio appiccato dall’assassino. A questa evocazione stilizzata degli ambienti contribuiscono le videoproiezioni, intrecciate o sovrapposte alla struttura architettonica e curate da Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilli.
Completano il cast: Giulio Baraldi (Severino da Sant’ Emmerano, l’erborista), Marco Gobetti (Malachia da Hildesheim, il bibliotecario, e Alinardo da Grottaferrata, il monaco centenario), Daniele Marmi (Bencio, il copista), Mauro Parrinello (Berengario da Arundel, l’aiuto-bibliotecario), Arianna Primavera (la ragazza), Franco Ravera (Remigio da Varagine, il cellario) e Marco Zannoni (l’abate).
Le luci sono di Alessandro Verazzi, le musiche di Daniele D’Angelo.
Al Teatro Comunale di Ferrara lo spettacolo avrà inizio alle 21.00 giovedì 8, venerdì 9 a sabato 10 marzo; alle 16.00 domenica 11 marzo.
All’Arena del Sole di Bologna (sala Leo de Berardinis) la pièce inizierà alle 21.00 da martedì 13 a venerdì 16 marzo (venerdì sarà anche sovratitolata per non udenti); alle 19.30 sabato 17 marzo e alle 16.00 domenica 18 marzo.
La durata dello spettacolo è di due ore e venti minuti.