Danzare nella guerra: Pippo Delbono e il suo “Risveglio”

31 ottobre 2025

Stavolta non ci sono parole di altri, testi di Pasolini, versi di Rimbaud o di altri poeti amati. Nel suo ultimo lavoro, Il risveglio, Pippo Delbono usa per la prima volta solo le sue di parole. Le sceglie una a una per “dire un nuovo dolore” e farlo diventare materia condivisa. Per raccontare un intimo ed emozionante viaggio attraverso le tante cadute e i tanti risvegli della vita. Del regista e autore ligure, tra i più amati della scena contemporanea, resta però intatta la maniera di occupare la scena: una voce intensa che non ha paura di spingersi fino al lirismo, e un toccante intreccio di corpi, colori, immagini e figure. Dopo un’importante tournée italiana e internazionale lo spettacolo (produzione esecutiva di ERT Teatro Nazionale) arriva all’Arena del Sole di Bologna dal 6 al 9 novembre. In scena con il regista e autore ci sono i volti fedeli della Compagnia Pippo Delbono: Dolly Albertin, Margherita Clemente, Ilaria Distante, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella, accompagnati dal violoncello dal vivo e dagli arrangiamenti di Giovanni Ricciardi. 

L’immagine da cui tutto prende avvio è quella dell’uomo addormentato sotto un albero secco che all’improvviso fiorisce – l’immagine che chiudeva Amore – e che qui diventa metafora di un risveglio non necessariamente consolatorio: svegliarsi, dice Delbono, può voler dire accorgersi che il mondo è peggiore di prima, che nel frattempo sono arrivate la pandemia, le guerre “vicine”, il ritorno di ideologie che credevamo finite.  “Questo spettacolo si chiama Il risveglio – scrive – ma potrebbe chiamarsi anche la vecchiaia, il dolore… Io ho passato 7 anni nel buio, 7 anni di dolore, come 7 anni dentro a un frigorifero. Poi quando sono uscito mi sono visto e ho detto: ‘ma sono diventato vecchio’. Non mi ero reso conto. Come quando ti risvegli da un sogno. E ho visto che tutti intorno a me erano diventati più vecchi. E poi in quegli anni c’era il Covid, io ero già nel frigorifero e ho dovuto passare due anni rinchiuso in casa… e poi c’erano le guerre, l’Ucraina, la Palestina, ma a me non importava niente. Ero talmente preso dalla mia guerra, dal mio dolore che ero diventato completamente apatico al dolore del mondo intorno a me”.

L’opera è un omaggio dichiarato a una persona che ha segnato tutto il percorso tra arte e vita di Pippo: Bobò. L’attore sordomuto incontrato nel manicomio di Aversa nel 1996, compagno di scena e di vita per oltre vent’anni, morto nel 2019, è presenza costante dello spettacolo: evocato, rimpianto, riportato in vita dal gesto scenico. “Lui era tutto per me, un padre, un fratello, un maestro. Eravamo sempre insieme nel teatro e fuori dal teatro. Inseparabili. E un giorno Bobò se n’è andato via. Per cinque anni non ho potuto più guardare nemmeno una sua immagine. Non potevo sentire parlare di lui. Ci ha lasciati completamente soli, me e la mia compagnia” dice Delbono. Che al suo Bobò ha dedicato un film (BOBÒ, 2025) che ha debuttato fuori concorso a Locarno e si vedrà al Cinema Modernissimo di Bologna il 26 novembre, introdotto dal regista e dalla direttrice artistica di ERT Elena Di Gioia.

La pièce si compone di pochi ed essenziali elementi scenici, per spingere lo sguardo oltre ciò che si vede. Lamenti d’amore e di tenerezza trascinano gli attori e le attrici della Compagnia in una danza simile al rito sacro, vicino forse a un funerale. L’atmosfera si arricchisce di brani provenienti dalla memoria degli anni Settanta, mentre Delbono si ripete “Devi danzare, danzare nella tua guerra”.